Giurisprudenza Concorsi pubblici

Giurisprudenza Concorsi pubblici

TAR SARDEGNA, SEZ. I – sentenza 5 febbraio 2009 n. 163
In base ai principi generali dell’azione amministrativa ed ai consolidati criteri ermeneutici di interpretazione degli atti giuridici e dei provvedimenti amministrativi, è da ritenere legittimo l’operato di una Università degli Studi che, essendosi accorta che uno dei quesiti che formava oggetto della prova preselettiva prevista per una Facoltà a numero chiuso era erroneo, ha disposto l’annullamento del quesito dopo che erano state effettuate le prove. Il disposto annullamento, infatti, non viola i fondamentali principi in materia di buon andamento e di imparzialità dell’azione amministrativa, ma ne costituisce concreta applicazione; l’annullamento del quesito irregolare, data la sua portata generale, garantisce la par condicio tra tutti i candidati e vale ad eliminare una possibile causa di disorientamento tra gli stessi, atta a pregiudicare la genuinità delle risposte.
Sent. n. 163/2009 REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA SARDEGNA
SEZIONE PRIMA
ha pronunciato la seguente SENTENZA
sul ricorso 1009/2007 proposto da HEINZMANN TEODORO, rappresentato e difeso dal prof. avv.
Costantino MURGIA e dall’avv. ELVIRA MACHI’, con domicilio eletto in CAGLIARI, Viale Bonaria n. 80, presso lo studio dell’avvocato Costantino MURGIA;
contro
UNIVERSITA’ degli STUDI DI CAGLIARI e MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA
RICERCA, rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA dello STATO, con domicilio eletto in Cagliari, Via Dante
n. 23, presso la sua sede;
CONSORZIO INTERUNIVERSITARIO GESTIONE CENTRO ELETTRONICO (CINECA), non costituito in
giudizio;
e nei confronti di
CUCURNIA ILARIA, CARRUCCIU ROBERTA, LOI CRISTINA, non costituite in giudizio; e nei confronti di
FRAU BARBARA, rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dagli avvocati Daniele CORTIS, Giovanni
ZUCCA e Nicola MELIS, ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Cagliari, Piazza Belgio n. 8/B; per l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione,
del decreto del Rettore dell’Università di Cagliari con il quale sono stati approvati la graduatoria ed i risultati
della prova di ammissione al primo anno del corso di laurea specialistica a ciclo unico in Medicina e Chirurgia relativo all’anno accademico 2007/08 nella parte in cui l’odierno ricorrente è stato collocato nella posizione n. 217 con un punteggio pari a 38,25;
dei provvedimenti con cui sono stati annullati i quesiti n 71 e 79 dei test di accesso ai corsi di laurea di Medicina e Chirurgia per l’anno accademico 2007/2008;
degli atti con cui l’apposita Commissione di esperti nominata dal Ministero ha individuato i quesiti di ingresso
al Corso, nella parte precisata in ricorso;
del decreto n. 1098/07 (adottato dal Magnifico Rettore dell’Università di Cagliari ed avente ad oggetto “Bando di selezione per il corso di laurea in medicina e chirurgia, per l’anno accademico 2007-2008”) nella parte in cui non prevede, in favore degli studenti comunitari, la copertura dei posti riservati agli studenti non comunitari residente all’estero (n. 5 posti) e agli studenti cinesi (n. 2 posti) nell’ipotesi in cui tali posti risultino non assegnati, in tutto o in parte;
della disposizione ministeriale del 21 marzo 2005 avente ad oggetto “immatricolazioni degli studenti stranieri e comunitari presso le Università italiane statali e non statali autorizzate a rilasciare titoli aventi valore legale” nella parte in cui non prevede in favore degli studenti comunitari la copertura dei posti riservati agli studenti non comunitari residenti all’estero nell’ipotesi in cui tali posti risultino non assegnati, in tutto o in parte;
del silenzio rifiuto formatosi, ai sensi dell’art. 25 della l. n. 241/90, in ordine alla istanza di accesso agli atti inoltrata dall’odierno ricorrente in data 2/10/2007;
di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, nonché, per l’ammissione con riserva
del ricorrente al primo anno del corso di laurea specialistica in medicina e chirurgia, per l’anno accademico
2007/2008, presso l’Università degli Studi di Cagliari, nonché, per l’emanazione

nei confronti dell’Università degli Studi di Cagliari di un ordine di esibizione avente ad oggetto la scheda delle risposte dei candidati che precedono l’odierno ricorrente;
in subordine, per l’annullamento dell’intera prova di ammissione al corso di laurea specialistica a ciclo unico
in medicina e chirurgia tenutasi presso l’Università degli Studi di Cagliari;
e sui motivi aggiunti, notificati il 15 gennaio 2008 e depositati il 19 gennaio 2008, proposti per l’annullamento del Decreto del Ministro dell’Università e Ricerca n. 13034 del 21/11/2007, conosciuto solo a seguito del deposito effettuato dall’Avvocatura dello Stato.
Visto il ricorso con i relativi allegati.
Visto l’atto di motivi aggiunti;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, dell’Università degli Studi di Cagliari e di Frau Barbara;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese.
Visti gli atti tutti della causa.
Relatore, alla pubblica udienza del 29 ottobre 2008, il referendario Giorgio Manca e uditi per le parti i difensori, come specificato nel separato verbale;
Visti gli atti tutti della causa;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO
1. – Il ricorrente, in data 4 settembre 2007, ha partecipato al concorso per l’ammissione al corso di laurea specialistica in Medicina e Chirurgia per l’anno accademico 2007/2008 presso l’Università di Cagliari, indetto con il decreto del Rettore in data 4 luglio 2007. Con decreto ministeriale del 17 maggio 2007, il Ministero dell’Università aveva definito le modalità della prova selettiva per l’ammissione, prevedendo tra l’altro che questa dovesse consistere “nella soluzione di ottanta quesiti a risposta multipla” (art. 3 del decreto citato); l’art. 6 del d.m. cit. prevedeva inoltre i criteri per l’assegnazione dei punteggi: “… 1 punto per ogni risposta esatta; 0,25 per ogni risposta sbagliata; 0 punti per ogni risposta non data …”. Al termine dello svolgimento della prova e prima della pubblicazione della relativa graduatoria, il Ministero dell’Università disponeva l’annullamento dei quesiti n. 71 e n. 79. Il primo veniva annullato perché – secondo il Ministero – erano “possibili più risposte esatte tra le opzioni indicate”; il secondo perché “nessuna delle opzioni indicate può essere considerata corretta”. L’Università di Cagliari disponeva conseguentemente di non valutare nessuna delle risposte proposte dai candidati per i due quesiti annullati.
Il 10 settembre 2007 veniva pubblicata la graduatoria di merito nella quale il ricorrente veniva collocato al n. 217 (con punti 38,25), cioè in una posizione non utile al fine dell’ammissione al corso. L’Università, infatti, procedeva alla ammissione alla immatricolazione dei concorrenti collocati fino alla posizione corrispondente al n. 192 (con punti 39,25).
2. – Con ricorso notificato il 13 novembre 2007 e depositato il successivo 1° dicembre 2007, il ricorrente impugnava gli atti indicati in epigrafe chiedendone l’annullamento sulla base dei seguenti motivi:
1° Violazione e falsa applicazione degli articoli 5 e 6 del decreto del Ministero dell’Università del 17 maggio 2007. Violazione e falsa applicazione del decreto del Rettore dell’Università degli Studi di Cagliari n. 1098/07. Eccesso di potere per arbitrio, illogicità, disparità di trattamento, ingiustizia manifesta. Violazione del principio del legittimo affidamento.
2° Violazione e falsa applicazione degli artt. 34 e 97 della Cost.; dell’art. 4, comma 1, della legge n. 264/1999. Violazione dei principi generali in materia di pubblici concorsi e di procedimento amministrativo. Difetto di istruttoria e di motivazione. Eccesso di potere per travisamento dei fatti, erroneità, illogicità, disparità di trattamento, ingiustizia manifesta.
3° Violazione e falsa applicazione degli articoli 34 e 97 della Costituzione; degli artt. 5 e 6 del decreto del Ministero dell’Università del 17 maggio 2007; del decreto del Rettore dell’Università degli Studi di Cagliari n. 1098/07. Eccesso di potere per arbitrio, illogicità, disparità di trattamento, ingiustizia manifesta. Violazione dei principi generali in materia di pubblici concorsi, dei principi di trasparenza e segretezza delle prove, del principio di par condicio, dei principi del procedimento amministrativo. Difetto di istruttoria e di motivazione. Eccesso di potere per travisamento dei fatti, erroneità, illogicità, disparità di trattamento, ingiustizia manifesta, contraddittorietà tra atti della p.a. .
3. – Successivamente, con atto di motivi aggiunti notificato il 15 gennaio 2008 e depositato il 19 gennaio successivo, il ricorrente ha impugnato il Decreto del Ministro dell’Università e Ricerca n. 13034 del 21/11/2007, conosciuto solo a seguito del deposito effettuato dall’Avvocatura dello Stato, con il quale il Ministero « (prende) atto dello svolgimento del procedimento volto alla ammissione ai corsi di laurea in medicina e chirurgia … (confermando) gli atti e le operazioni materiali svolte …». Nei confronti del predetto decreto ministeriale sono proposti i medesimi motivi dedotti col ricorso introduttivo.
4. – Con atto depositato il 6 dicembre 2007 si è costituito il Ministero intimato, chiedendo che il ricorso sia respinto. Con memoria difensiva del 9 ottobre 2008, chiede in via preliminare che il ricorso introduttivo sia dichiarato irricevibile in quanto notificato oltre il termine di sessanta giorni previsto dalla legge, atteso che la pubblicazione della graduatoria sarebbe intervenuta (al più) il 12 settembre 2007 mentre il ricorso risulta notificato il 13 novembre 2007, cioè nel 62° giorno dalla pubblicazione. In secondo luogo, eccepisce

l’inammissibilità del ricorso nella parte in cui chiede l’annullamento dell’intera procedura selettiva, atteso che il ricorso non risulta notificato a tutti i concorrenti controinteressati. Nel merito conclude per l’infondatezza dei motivi dedotti.
5. – Si è costituita anche la controinteressata Frau Barbara, con atto depositato il 14 dicembre 2007, chiedendo che il ricorso sia respinto.
6. – Con ordinanza di questa Sezione n. 50/2008 del 30 gennaio 2008, è stata respinta la domanda
cautelare proposta in via incidentale dal ricorrente.
7. – Alla pubblica udienza del 29 ottobre 2008 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. – In via preliminare può omettersi l’esame delle eccezioni pregiudiziali sollevate dalla difesa dell’amministrazione resistente, considerato che il ricorso è infondato. Ciononostante, deve essere rilevata la manifesta infondatezza della questione concernente la ricevibilità del ricorso, poichè appare di tutta evidenza che il termine per impugnare la graduatoria (atto finale del procedimento selettivo di cui è controversia) inizia a decorrere – per effetto della sospensione dei termini feriali – solo dal 16 settembre 2007. Pertanto, essendo la notifica del ricorso introduttivo intervenuta il 13 novembre 2007, risulta rispettato il termine decadenziale di sessanta giorni previsto dall’art. 21 della legge n. 1034/1971.
2. – Passando al merito, con il primo motivo il ricorrente sostiene l’illegittimità dell’annullamento dei quesiti n. 71 e n. 79, sotto i diversi profili sintetizzati in rubrica. In particolare, quanto all’annullamento del quesito n. 71 rileva l’erroneità del presupposto assunto dal Ministero, ovverosia che fossero possibili più risposte esatte, in quanto l’opzione “A” indicava la risposta esatta. Inoltre, anche muovendo dall’assunto ministeriale, in ogni caso non si sarebbe dovuto procedere all’annullamento del quesito (con la conseguente mancata attribuzione al ricorrente del punto spettante per aver indicato la risposta esatta) ma assegnare un punto a tutti i concorrenti che avevano scelto una delle due opzioni esatte. L’attribuzione del punto avrebbe consentito al ricorrente di raggiungere un punteggio pari a 39,25, corrispondente a quello degli ultimi concorrenti ammessi al corso.
Per quanto concerne l’annullamento del quesito n. 79, il ricorrente deduce la mancanza di una norma, relativa alla procedura selettiva, che consentisse alla P.A. di annullare uno dei quesiti proposti, posto che sia il bando che il citato D.M. prevedevano espressamente la valutazione dei candidati sulla base di 80 quesiti. In secondo luogo, considerato che era da ritenersi esatta la mancata risposta al quesito (così come fatto dal ricorrente), l’amministrazione avrebbe dovuto decurtare punti 0,25 ai concorrenti che hanno segnato una delle risposte errate, e assegnare quantomeno 0 punti ai concorrenti che si sono astenuti dal rispondere.
Il ricorrente, infine, sostiene l’illegittimità del mancato annullamento del quesito n. 14, con il quale si chiedeva ai concorrenti di indicare, tra quelli proposti, il motto dell’Unione Europea. Tuttavia, nessuna delle cinque opzioni può essere ritenuta corretta, atteso che il motto dell’U.E. è: «Unita nella diversità», mentre tra le risposte al quesito n. 14 era indicato il motto «Unità nella diversità», ovverosia un’espressione di significato completamente differente. L’amministrazione non ha rilevato l’erroneità, procedendo quindi ad assegnare un punto ai concorrenti che hanno indicato la risposta «Unità nella diversità», mentre zero punti sono stati assegnati a coloro, come il ricorrente, che accortisi della assenza di una risposta corretta, si sono astenuti dal contrassegnarne alcuna.
3. – Il motivo, nei suoi diversi profili, è infondato.
3.1. – In linea generale, deve ribadirsi quanto già osservato in sede cautelare con riferimento all’inserimento nelle prove d’esame di quesiti oggettivamente errati, rispetto ai quali sussiste il potere dell’amministrazione di provvedere al loro annullamento. Ciò non può essere revocato in dubbio né sulla base dell’argomentazione proposta dal ricorrente, secondo la quale sarebbe stata necessaria una espressa previsione normativa; né sulla base del principio di pari trattamento dovuto nei confronti di tutti i concorrenti, che sarebbe stato leso perché in conseguenza dell’annullamento si è determinata la ingiustificata equiparazione tra chi ha dato la risposta esatta (anche, eventualmente, astenendosi dal contrassegnare una delle risposte indicate nel test) e chi ha selezionato una risposta sicuramente errata. Sul punto il Collegio condivide le argomentazioni avanzate recentemente nella pronuncia del T.A.R. Sicilia, Catania, 10 giugno 2008, n. 1158, in quanto sviluppano il ragionamento esposto in nuce nella menzionata ordinanza cautelare
n. 50/2008 di questa Sezione, facendo ricorso ai principi generali dell’azione amministrativa ed ai consolidati criteri ermeneutici di interpretazione degli atti giuridici e dei provvedimenti amministrativi, rilevando come l’annullamento del quesito n. 71 «è stato adottato in conformità al dettato del D.M. 17/5/2007 che prevede all’art. 3, comma 2 che la prova di ammissione consiste nella soluzione di quesiti a risposta multipla “di cui una sola esatta tra le cinque indicate”. Il disposto annullamento non viola i fondamentali principi in materia di buon andamento e di imparzialità dell’azione amministrativa (…) ma ne costituisce concreta applicazione; l’annullamento del quesito irregolare, data la sua portata generale, garantisce la par condicio tra tutti i candidati e vale ad eliminare una possibile causa di disorientamento tra gli stessi, atta a pregiudicare la genuinità delle risposte. Si rileva al fine che la sussistenza per il quesito in parola di più di una risposta esatta, ha illegittimamente alterato i criteri di valutazione preordinati con il D.M. del 17/5/07, non impugnato, in quanto ha ridotto di fatto le possibilità di errore per i candidati che si sono soffermati sul quesito ed ad

esso hanno dato risposta, rispetto ai candidati che hanno omesso di rispondere al quesito in parola, rivolgendo le proprie attenzioni sugli altri quesiti, nessuno dei quali forniva la possibilità di due opzioni esatte, creando così confusione e disparità rispetto alle prefissate note regole per le quali solo una risposta avrebbe dovuto essere esatta.».
3.2. – Con riferimento al quesito n. 79, premesso che la sua oggettiva erroneità non è messa in dubbio dal ricorrente (che, infatti, muove le sue contestazioni a partire dalla sicura assenza, nell’ambito delle risposte indicate nel test, di quella esatta), non possono essere condivise le censure nei confronti dell’operato dell’amministrazione. In disparte la questione se sia corretto qualificare l’atto concernente il quesito n. 79 come annullamento d’ufficio o come atto ricognitivo di nullità parziale per impossibilità dell’oggetto (come ritenuto da una parte della giurisprudenza: TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 16 giugno 2008, n. 5920), basti osservare che le soluzioni alternative all’annullamento, prospettate dal ricorrente, appaiono del tutto irrazionali, posto che uno degli obiettivi della prova selettiva è la valutazione della preparazione dei concorrenti mediante le risposte corrette ai quesiti proposti, e non la valutazione della capacità di evitare i quesiti erroneamente formulati o forniti di risposte del tutto errate.
3.3. – Per quanto concerne la censura relativa al mancato annullamento del quesito n. 14 (sul motto dell’Unione Europea), dalla documentazione acquisita agli atti del giudizio si conoscono le motivazioni che hanno indotto il Ministero dell’Università a non procedere all’annullamento del quesito. La commissione incaricata della predisposizione dei quesiti, interpellata sulle contestazioni che hanno investito la formulazione del quesito n. 14, osservava quanto segue: «Per quanto nella stesura del quesito proposto compaia una formulazione all’impersonale (“Unità nella diversità”) del motto contenuto nel testo della Costituzione Europea (“Unita nella diversità”), nessuna possibilità d’errore, da ciò determinata, doveva sussistere per i candidati, considerata la comunque agevole riconoscibilità, anche semantica, della risposta corretta e la marcata difformità, rispetto ad essa, delle opzioni errate». L’illogicità dedotta dal ricorrente deve essere valutata alla luce delle ragioni della commissione, fatte proprie dall’amministrazione, che ha assegnato 1 punto ritenendo esatta la risposta corrispondente all’espressione “Unità nella diversità”. Illogicità e contraddittorietà che vengono fatte discendere, essenzialmente, dal diverso modo di agire adottato dall’amministrazione con riguardo al quesito n. 79. Tuttavia, le due situazioni non sono esattamente sovrapponibili, poiché mentre nel caso del quesito n. 79 (annullato), trattandosi di quesito matematico, vi era la certezza dell’erroneità di tutte le risposte indicate, nel caso del quesito n. 14 la differenza nelle due espressioni – come rilevato dalla commissione – non appare comportare una altrettanta sicurezza.
Anche tale doglianza è, pertanto, infondata.
4. – Accertata l’infondatezza dei vizi incentrati sulla assegnazione dei punteggi, dalla quale deriva l’immutabilità della posizione in graduatoria acquisita dal ricorrente, consegue altresì l’inammissibilità degli ulteriori motivi proposti con il ricorso introduttivo e con i motivi aggiunti, per il difetto di interesse a ricorrere che investe la posizione soggettiva del ricorrente il quale, non avendo superato la c.d. prova di resistenza, non ritrarrebbe alcuna concreta utilità da una sentenza di accoglimento (fondata sui predetti motivi). In particolare, per quanto concerne il secondo motivo (diretto alla contestazione del bando di ammissione, nella parte in cui non prevede l’assegnazione in favore degli studenti comunitari dei posti degli studenti extracomunitari, nell’ipotesi in cui questi ultimi non risultino assegnati), considerato che il ricorrente si colloca al n. 217 della graduatoria, e che i posti complessivamente (comunitari e extracomunitari) disponibili sono pari a 170, è evidente che non è in alcun modo provata la possibilità del ricorrente di usufruire eventualmente dei posti riservati agli studenti non comunitari.
Argomentazione e conclusioni che devono essere ribadite anche con riferimento al terzo motivo (proposto in via subordinata, con esso il ricorrente tende ad ottenere l’annullamento dell’intera procedura concorsuale, dolendosi, in primo luogo, della violazione dei principi di segretezza delle prove e del principio della par condicio tra i concorrenti, atteso che – per fatti avvenuti in altre sedi universitarie – si sarebbe data la possibilità che tutti i concorrenti venissero a conoscenza del contenuto dei quesiti; in secondo luogo, l’annullamento dei due quesiti, di cui si è detto, comporterebbe la violazione dell’art. 3 del citato D.M. del 17 maggio 2007, sia nel punto in cui stabilisce in 80 il numero dei quesiti sui quali si deve svolgere la prova, sia nella parte in cui ripartisce tali quesiti tra i diversi argomenti).
5. – Il ricorso e i motivi aggiunti, in definitiva, devono essere dichiarati in parte infondati e in parte
inammissibili.
Le spese del giudizio possono essere compensate in considerazione della novità e particolarità delle questioni affrontate.
Per Questi Motivi
Il Tribunale Amministrativo per la Sardegna, Sezione Prima, pronunciando definitivamente sul ricorso e sui motivi aggiunti, di cui in epigrafe, in parte li rigetta e in parte li dichiara inammissibili, nei sensi di cui in motivazione.
Compensa tra le parti le spese del presente giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Cagliari, nella Camera di Consiglio del 29 ottobre 2008, dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna con l’intervento dei Signori:

Paolo Numerico Presidente, estensore Silvio Ignazio Silvestri Consigliere Giorgio Manca Referendario – relatore Depositata in segreteria oggi: 05/02/2009

VALUTAZIONI TECNICHE DELLA COMMISSIONE, NON SONO SINDACABILI DAI GIUDICI
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V – sentenza 11 maggio 2009 n. 2880
Sono inammissibili le doglianze che impingono nel merito delle valutazioni tecniche riservate alla commissione esaminatrice di pubblici concorsi che, in quanto intrinsecamente opinabili, sono insindacabili da parte del giudice amministrativo, salvo che non trasmodino in giudizi abnormi.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Quinta Sezione) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso iscritto al NRG 1281\2008, proposto da Elena Sapienza, rappresentata e difesa dall’avvocato Furio Stradella ed elettivamente domiciliata presso lo studio Antonelli in Roma, via I. Nievo n.62;
contro
Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, in persona del presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato ex lege domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
e nei confronti di
Delneri Michela, Marin Maria, Bergagna Stefano, Iuri Daniela, Feruglio Antonio, Venchiararutti Arrigo, Santarelli Sonia, Valent Ida, Pecile Annamaria, Moschetta Wania, Di Danieli Gianna, Vernier Alessandra, Sgro Saveria, Volpe Ettore, Patriarca Stefano, Pengue Raffaella, De Bastiani Igor, Forte Francesco, Miotto Sabrina, Di Martino Raffaella, Zacchigna Alessandro e Bonaccorsi Massimiliano;
tutti non costituiti;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia, sezione prima, n. 713 dell’8 novembre 2007.
Visto il ricorso in appello;
visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia; viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti gli atti tutti della causa;
data per letta alla pubblica udienza del 10 marzo 2009 la relazione del consigliere Vito Poli, udito l’ avvocato Stradella;
ritenuto e considerato quanto segue:
FATTO e DIRITTO
La dott.sa Elena Sapienza ha partecipato al concorso pubblico per titoli ed esami, indetto dalla regione autonoma Friuli Venezia Giulia, per la copertura di 19 posti di dirigente del profilo amministrativo (cfr. bando del 15 luglio 2005).
Con nota del 7 marzo 2006 le è stato comunicato il mancato superamento della prima prova scritta non avendo conseguito il punteggio minimo richiesto pari a 14.
2. Con ricorso principale ed atto di motivi aggiunti (per invalidità derivata) sono stati impugnati i seguenti atti:
il giudizio di non ammissione alla prova orale;
la determinazione dei criteri di valutazione degli elaborati scritti effettuata dalla commissione esaminatrice nella seduta del 25 ottobre 2005;
il bando di concorso;
la deliberazione della giunta regionale n. 987 del 12 maggio 2006 recante l’approvazione della graduatoria e la nomina dei vincitori del concorso.
3. L’impugnata sentenza – T.a.r. per il Friuli Venezia Giulia, sezione prima, n. 713 dell’8 novembre 2007 – ha in parte respinto ed in parte dichiarato inammissibili, con dovizia di argomenti, tutte le censure.
4. Con ricorso notificato il 28 – 30 gennaio 2008, e depositato il successivo 18 febbraio, la dott. Sapienza ha
interposto appello avverso la su menzionata sentenza del T.a.r. reiterando criticamente le censure articolate in prime cure.
5. Si è costituita la regione Friuli Venezia Giulia deducendo l’infondatezza del gravame in fatto e diritto.
6. La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 10 marzo 2009.
7. L’appello è infondato e deve essere respinto.
Preliminarmente il collegio rileva che il thema decidendum del presente giudizio è delimitato dalle censure notificate in prime cure, non potendosi tenere conto dei profili nuovi sollevati per la prima volta in sede di appello, in spregio al divieto dei nova sancito dall’art. 345, co. 1, c.p.c., e, a fortiori, in sede di memoria

difensiva o conclusionale (nella specie quella del 23 febbraio 2009), avendo queste ultime valore puramente illustrativo (cfr. ex plurimis Cons. St., sez. V, 22 dicembre 2008; sez. V, 11 luglio 2008, n. 3481); per semplicità espositiva la sezione seguirà, pertanto, la tassonomia dei motivi sviluppati in primo grado.
7.1. Con il primo motivo (da pagina 10 a pagina 15 del ricorso principale) si deduce eccesso di potere per macroscopica illogicità, manifesta ingiustizia e disparità di trattamento; all’esito della comparazione del proprio elaborato con quello di alcuni dei candidati vincitori, la ricorrente reputa arbitrario il punteggio conseguito in relazione ai cinque quesiti in cui si scomponeva la prova, sia a fronte degli errori gravi compiuti da questi ultimi sia in ragione della sostanziale correttezza delle risposte fornite.
Il mezzo è inammissibile.
Sul punto controverso la sezione non intende discostarsi dal prevalente indirizzo di questo Consiglio (cfr. da ultimo Cons. St., sez. V, 11 luglio 2008, n. 3480), secondo cui sono inammissibili le doglianze che impingono nel merito delle valutazioni tecniche riservate alla commissione esaminatrice di pubblici concorsi che, in quanto intrinsecamente opinabili, sono insindacabili da parte del giudice amministrativo, salvo che non trasmodino in giudizi abnormi (circostanza questa che non ricorre nel caso di specie).
7.2. Con il secondo motivo (da pagina 15 a pagina 16 del ricorso) si lamenta l’illegittimità dell’art. 4 del bando (e del conseguente operato della commissione), nella parte in cui non è stata contemplata la valutazione di una seconda laurea, titolo posseduto nella specie dalla ricorrente.
Il mezzo è inammissibile.
Una volta assodata la legittimità della mancata ammissione della candidata all’ulteriore corso della procedura concorsuale, quest’ultima risulta priva dell’interesse a coltivare una censura che presuppone il superamento delle prove scritte ed orali.
7.3. Con il terzo motivo (da pagina 16 a pagina 18) si lamenta l’intrinseca illogicità dei criteri di valutazione della prima prova scritta individuati dalla commissione ed in particolare l’eccessivo peso attribuito ai criteri diversi dalla conoscenza della materia.
Il mezzo è sia inammissibile che infondato e deve essere respinto nella sua globalità.
Nella specie la commissione ha individuato i seguenti elementi per la valutazione della prima prova scritta:
conoscenza dell’argomento e completezza della trattazione, fino ad un massimo di p. 40;
ordine logico nello svolgimento degli argomenti, fino ad un massimo di p. 20; chiarezza nell’esposizione e proprietà del linguaggio, fino ad un massimo di p. 20; capacità di sintesi, fino ad un massimo di p. 20.
E’ da premettere in linea generale che nell’ambito dei concorsi a posti di pubblico impiego la commissione esaminatrice ha l’obbligo di stabilire preventivamente ed in astratto i criteri di massima solo in relazione alla valutazione dei titoli e non anche per la valutazione delle prove scritte che sono rimesse alla sua discrezionalità tecnica; in ogni caso tali criteri sono insindacabili da parte del giudice amministrativo salvo il limite della intrinseca irrazionalità e della esorbitanza rispetto alle materie del concorso (cfr. ex plurimis Cons. St., sez. IV, 24 luglio 2003, n. 4238). Nel caso di specie i criteri individuati ed il loro peso specifico non appaiono abnormi: nei limiti di un sindacato estrinseco, deve reputarsi ragionevole che l’elemento relativo alla conoscenza dell’argomento e completezza della trattazione, venga valutato con il doppio del punteggio attribuito ai restanti 3, ma non sia in grado ex se di determinare l’esito della prova.
7.4. Con il quinto motivo (da pagina 18 a pagina 19) si illustra il vizio di eccesso di potere per carenza di motivazione e violazione dell’art. 3, l. n. 241 del 1990, contestandosi l’indicazione soltanto numerica del punteggio attribuito alla prova non superata.
Il mezzo è infondato.
La sezione non intende discostarsi dalla soluzione interpretativa offerta dalla giurisprudenza di questo Consiglio – consolidata al punto da costituire “diritto vivente” giudicato conforme ai parametri costituzionali del giusto processo e del diritto di difesa da Corte cost. 30 gennaio 2009, n. 20 – secondo cui nelle procedure concorsuali, ove la valutazione del merito del candidato esprime un giudizio strettamente valutativo del grado di preparazione e di idoneità culturale e non una ponderazione fra una pluralità di interessi in gioco ai fini dell’adozione di una statuizione provvedimentale, il voto numerico è di per sé idoneo a identificare il livello di sufficienza o di insufficienza della prova sostenuta, senza la necessità di ulteriori indicazioni e chiarimenti a mezzo di proposizioni esplicative (cfr. da ultimo Cons. giust. Amm., 7 ottobre 2008, n. 837; sez. V, n. 3480 del 2008 cit.).
7.5. Con il quinto motivo (pagine 19 e 20) si deduce la violazione, da parte della commissione esaminatrice, del regolamento regionale n. 0405 del 2 dicembre 2004, espressamente richiamato nel bando:
nella parte in cui imporrebbe a quest’ultima di svolgere tutti gli adempimenti del concorso e dunque anche di assumere la determinazione di non effettuare la prova preselettiva informatica (art. 16);
b) nella parte in cui impone di ricercare la regola dell’unanimità e solo in mancanza di questa di procedere a
maggioranza secondo la formula matematica divisata dall’art. 13 del medesimo regolamento. Il motivo è infondato.
Sul primo punto è sufficiente richiamare l’art. 6, co. 1, 2 e 3, del bando, dove si precisa con chiarezza che è
l’amministrazione e non la commissione a valutare se effettuare o meno una prova preselettiva informatica in considerazione del numero delle domande di partecipazione presentate; correttamente, pertanto, la

commissione si è limitata a prendere atto della decisione dell’amministrazione di non effettuare una prova preselettiva (cfr. verbale n. 1 del 17 ottobre 2005, pagina 2).
Del tutto generica ed inconferente è la doglianza sollevata nel secondo punto (per altro non espressamente
riproposta nei motivi di appello); risulta dalla lettura del verbale n. 2 del 24 ottobre 2005 che la commissione abbia rispettato lo spirito della prescrizione sancita dal menzionato art. 13.
7.6. Con il sesto motivo (pagine 20 e 21) si contesta l’illogicità e la disparità di trattamento della scelta della
commissione di non far consultare ai candidati codici e testi normativi. Il mezzo è inammissibile ed infondato.
L’art. 7, co.3, del bando ha rimesso al giudizio discrezionale della commissione la possibilità della
consultazione di codici e fonti.
La commissione ha esercitato tale discrezionalità, ex se insindacabile, senza trasmodare nell’arbitrio e specificando le ragioni della scelta: concorso pubblico per dirigenti e tipologia delle prove; giova evidenziare sotto tale angolazione che la commissione ha scelto di far svolgere la prima prova mediante la somministrazione di 5 quesiti da risolvere in un tempo massimo di 4 ore.
Stante l’autonomia delle procedure concorsuali non è configurabile il vizio di disparità di trattamento avuto riguardo a differenti procedure per altro neppure specificamente individuate.
7.7. Con il settimo motivo (pagina 21) si lamenta l’omessa valutazione da parte della commissione, nell’ambito dei titoli, del curriculum vitae dei candidati, sebbene il bando ne prescrivesse la presentazione.
Il motivo è inammissibile per le ragioni esposte al precedente punto 7.2. cui si rinvia.
Il motivo è anche infondato nel merito perché il bando ha indicato analiticamente i titoli valutabili ed i punteggi attribuibili senza riferirsi al curriculum formativo (art. 4).
7.8. Con l’ottavo motivo (pagine 21 e 22) si lamenta la violazione delle regole che presiedono alla formazione della documentazione amministrativa; in particolare si stigmatizza che in due verbali (relativi alle sedute del 23 gennaio e 13 febbraio 2006 in cui rispettivamente alle 18,30 e 18,20 si è verificato l’avvicendamento del segretario dott. Bortolato con la dott.ssa Stolfa), non si sia dato atto di quali elaborati siano stati corretti con l’assistenza dell’uno e dell’altro; nel verbale del 23 gennaio 2006, inoltre, manca la sottoscrizione della dott.ssa Stolfa pur avendolo quest’ultima parzialmente formato.
Il mezzo è infondato.
Trattasi all’evidenza di mere irregolarità che non inficiano la legittimità dell’operato della commissione; in adesione a pacifico indirizzo giurisprudenziale, in sede di operazioni concorsuali, le irregolarità nella verbalizzazione non hanno di per sé carattere viziante qualora non compromettano (come nel caso di specie) la funzione strumentale propria del verbale con la conseguenza che è sufficiente che il verbale contenga gli aspetti salienti e significativi delle operazioni oggetto di documentazione (cfr. Cons. St., sez. II, 24 gennaio 2007, n. 7648, dove si precisa che non devono sussistere difformità di giudizi tra commissione ed eventuali sottocommissioni, che nel caso di specie non risultano formate).
7.9. Con il nono motivo (pagina 22) si lamenta che la commissione, in sede di valutazione dei titoli, non abbia specificato la natura degli stessi per ciascun candidato.
Il motivo è inammissibile per le ragioni esposte al precedente punto 7.2. cui si rinvia.
7.10. Con il decimo motivo (pagina 22 e 23), si stigmatizza la violazione della regola dell’anonimato della prova scritta; vari elaborati di candidati ammessi presenterebbero segni di riconoscimento (cerchiature di numeri, sottolineature di parole).
Il motivo è sia inammissibile che infondato e deve essere respinto nella sua globalità.
La ricorrente non ha interesse a dolersi del vizio perché l’eventuale accertamento dello stesso condurrebbe alla doverosa esclusione dei candidati infedeli ma non alla revisione del giudizio negativo nei suoi confronti. La censura è altresì infondata nel merito mancando la prova della condotta illecita che superi la presunzione semplice, fondata sull’id quod plerumque accidit, che i segni grafici in discussione siano stati vergati dalla commissione in sede di correzione degli elaborati.
8. In conclusione l’appello deve essere respinto.
Le spese di giudizio, regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso meglio specificato in epigrafe:
respinge l’appello e per l’effetto conferma la sentenza impugnata;
condanna l’appellante a rifondere in favore della regione autonoma Friuli Venezia Giulia le spese, le competenze e gli onorari del presente grado di giudizio che liquida in complessivi euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori come per legge (12,50% a titolo di spese generali, I.V.A. e C.P.A.).
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 marzo 2009, con la partecipazione di: Domenico La Medica – Presidente
Gianpaolo Cirillo – Consigliere
Aldo Scola . Consigliere

Vito Poli Rel. Est. – Consigliere
Nicola Russo – Consigliere Depositata in segreteria il 11/5/2009.

CONCORSO INTERNO, LA COMPETENZA E’ DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV – SENTENZA 18 GIUGNO 2009 N. 4023
Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo in materia di concorsi una controversia relativa ad un concorso interno diretto a permettere l’accesso del personale già assunto ad una fascia o area superiore (nella specie si trattava di un concorso per titoli di servizio professionali e di cultura integrato da colloquio, per l’accesso ad una diversa posizione lavorativa, quella di dirigente nel ruolo dei consiglieri della Presidenza del Consiglio dei Ministri, riservato al personale interno) .
R E P U B B L I C A I T A L I A N A IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente D E C I S I O N E
sul ricorso in appello n. 11948 del 2003, proposto da Francesco Piunti, rappresentato e difeso dagli avv.ti
Corrado Mauceri e Fausto Buccellato, ed elettivamente domiciliato presso quest’ultimo in Roma, viale Angelico n.45, come da mandato a margine del ricorso introduttivo;
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del presidente legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso la stessa domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi 12;
e nei confronti di
Fabio Fanelli, non costituito; per l’annullamento
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima, n.5190 del 9 giugno 2003; visto il ricorso in appello, con i relativi allegati,
visto l’atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione appellata;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; visti gli atti tutti della causa;
relatore all’udienza pubblica del giorno 7 aprile 2009 il consigliere Diego Sabatino;
uditi l’avv. dello Stato Meloncelli e l’avv. Buccellato; RITENUTO IN FATTO
Con ricorso iscritto al n. 11948 del 2003, Francesco Piunti proponeva appello avverso la sentenza del
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima, n.5190 del 9 giugno 2003, con la quale era stato dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sul ricorso proposto contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri per l’annullamento della graduatoria di merito del concorso per titoli di servizio professionali e di cultura, integrato da colloquio, a 28 posti di dirigente nel ruolo dei consiglieri della Presidenza del Consiglio dei Ministri di cui alla tabella A allegata alla legge 23 agosto 1988, n. 400, riservato al personale dei ruoli indetto con decreto del Segretario Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri datato 13 giugno 1995, nonché del decreto del Segretario Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri datato 13 giugno 1995 in parte qua e dei provvedimenti di formazione della Commissione esaminatrice.
A sostegno delle doglianze proposte dinanzi al giudice di prime cure, la parte ricorrente aveva premesso:
-di aver partecipato al concorso per titoli di servizio professionali e di cultura, integrato da colloquio, indetto con decreto del Segretario Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri datato 13 giugno 1995, a 28 posti di dirigente nel ruolo dei consiglieri della Presidenza del Consiglio dei Ministri di cui alla tabella A allegata alla legge 23 agosto 1988, n. 400, riservato al personale dei ruoli, bandito in attuazione dell’art. 28, comma 9, del D. Lgs. 3 febbraio 1993, ai sensi del quale la metà dei posti della qualifica di dirigente conferibili mediante concorso è attribuita attraverso un concorso per titoli di servizio professionali e di cultura integrato da colloquio, nonché i sensi del D.P.C.M. 21 aprile 1994, n. 439;
-che, dopo una prima esclusione per mancanza dei prescritti requisiti e successiva ammessione con riserva, si era collocato al 56^ posto della relativa graduatoria di merito;
-che tale collocazione era conseguente ad una erronea valutazione da parte della commissione di concorso, per ragioni derivanti dalla erronea e parziale considerazione dei titoli posseduti, per la mancata considerazione degli incarichi svolti e dei pregressi anni di servizio, nonché per l’illogicità dell’art. 4 del bando di concorso, il quale limita i titoli valutabili a quelli in possesso alla data del 30 dicembre 1994, ed, infine, per la composizione della commissione esaminatrice, formata esclusivamente da funzionari dell’Amministrazione senza la qualifica di esperti;
Costituitasi la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva carente la propria giurisdizione, sulla base della considerazione che il concorso in

questione non fosse “una procedura concorsuale finalizzata all’assunzione di personale, solo con riferimento alla quale permane la giurisdizione del giudice amministrativo”.
Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenziava come, nella giurisprudenza
consolidata, l’ambito di cognizione del giudice amministrativo, derivante dall’art.63 del D.Lgs. 30 marzo 2001
n.165 è più ampio, contenendo anche procedure concorsuali del tipo di quella in scrutinio.
Nel giudizio di appello, si costituiva l’Avvocatura dello Stato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.
Alla pubblica udienza del 7 aprile 2009, il ricorso è stato discusso ed assunto in decisione. CONSIDERATO IN DIRITTO
1. – L’appello è fondato e merita accoglimento entro i termini di seguito precisati.
2. – La questione centrale del ricorso in appello attiene all’errata considerazione fatta dal giudice di prime cure sull’esistenza della propria giurisdizione. Secondo la parte appellante, il T.A.R. avrebbe errato nel declinarla, atteso che il concorso de qua, ossia inerente ad un concorso per titoli di servizio professionali e di cultura integrato da colloquio, per l’accesso ad una diversa posizione lavorativa, quella di dirigente nel ruolo dei consiglieri della Presidenza del Consiglio dei Ministri, sebbene riservato al personale interno, è comunque compreso nell’ambito di applicazione dell’art.63 del D.Lgs. 165 del 2001.
La censura va accolta.
Occorre rilevare come la questione in disamina, oggetto di differenti valutazioni giurisprudenziali, si sia tendenzialmente assestata dopo l’intervento chiarificatore operato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n.15403 del 15 ottobre 2003.
Nel detto arresto, le Sezioni Unite hanno superato l’iniziale assunto interpretativo sull’ambito della riserva in via residuale alla giurisdizione amministrativa delle controversie in materia dì impiego pubblico cosiddetto privatizzato, dapprima ritenuto concernente esclusivamente le procedure concorsuali strumentali alla costituzione del rapporto di lavoro e non i casi in cui il concorso sia diretto non già ad assumere, ma a promuovere il personale già assunto.
Operando una rilettura dell’articolo 35, primo comma, decreto legislativo 165 del 2001, che prescrive che l’ingresso nella Pubblica amministrazione deve avvenire “tramite procedure selettive”, che sono dirette ad accertare la professionalità richiesta e che garantiscono in misura adeguata l’accesso dall’esterno, la Corte di Cassazione ha affermato che questa regola “deve ritenersi applicabile, in via generale, anche con riferimento all’attribuzione al dipendente di una qualifica superiore (in base alle disposizioni contenute nei contratti collettivi cui rinvia l’articolo 40, primo comma, del medesimo decreto legislativo), dato che, a norma del successivo articolo 52, primo comma, la qualifica superiore viene acquisita dal lavoratore «per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive». Pertanto, considerato che mediante gli accordi collettivi stipulati nel comparto del pubblico impiego è stato previsto un sistema di inquadramento del personale articolato in aree o fasce, all’interno delle quali sono contemplati diversi profili professionali, si deve ritenere che le procedure che consentono il passaggio da un’area inferiore a quella superiore integrino un vero e proprio concorso tali essendo anche le procedure che vengono denominate “selettive” qualunque sia l’oggetto delle prove che i candidati sono chiamati a sostenere”.
Di conseguenza, considerando come un imprescindibile presupposto “il principio secondo cui, nel rapporto di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche amministrazioni, l’accesso del personale dipendente ad un’area o fascia funzionale superiore deve avvenire per mezzo di una pubblica selezione, comunque denominata ma costituente, in definitiva, un pubblico concorso”, la Cassazione ha ritenuto che l’ambito di giurisdizione del giudice amministrativo “fa riferimento non solo alle procedure concorsuali strumentali alla costituzione, per la prima volta, del rapporto di lavoro, ma anche alle prove selettive dirette a permettere l’accesso del personale già assunto ad una fascia o area superiore”.
Il detto inquadramento concettuale si cala perfettamente nella vicenda de qua, dove si verte sulla partecipazione ad un concorso nel quale la selezione è finalizzata all’inquadramento in un ruolo del tutto diverso, quello appunto dei dirigenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, venendo ad integrare in toto il profilo dell’assunzione a fascia o area superiore, indicato dalla Corte di Cassazione come elemento di differenziazione tra le diverse giurisdizioni.
Deve allora ritenersi errata la valutazione del T.A.R. in merito alla propria carenza di giurisdizione, atteso che la questione è del tutto riconducibile all’ambito applicativo della riserva di cui all’art.63 del D.Lgs. n.165 del 2001.
3. – Alla considerazione sull’erronea considerazione del proprio difetto di giurisdizione, consegue l’annullamento con rinvio della sentenza del T.A.R. così motivata. In questo senso è la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, ribadita dall’Adunanza Plenaria (Adunanza Plenaria, 8 novembre 1996 n. 23; id., 13 gennaio 1981 n. 1; id., 30 giugno 1978 n. 18; da ultimo, Consiglio di Stato, sez. VI, 6 luglio 2006 n. 4297) e fatta propria da questa Sezione.
4. – L’appello va quindi accolto. Sussistono peraltro motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali, determinati dalle oscillazioni giurisprudenziali sulla questione decisa.
P. Q. M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:
1. Accoglie l’appello n. 11948 del 2003 e per l’effetto annulla con rinvio la sentenza del Tribunale
amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima, n.5190 del 9 giugno 2003;
2. Compensa integralmente tra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 7 aprile 2009, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta – con la partecipazione dei signori:
Gaetano TROTTA – Presidente
Luigi MARUOTTI – Consigliere Armando POZZI – Consigliere Anna LEONI – Consigliere
Diego SABATINO – Consigliere est. L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
Depositata in Segreteria Il 18/06/2009.

VALUTAZIONE ELABORATO, VANNO INDICATI GLI ERRORI
TAR SICILIA – CATANIA, SEZ. IV – sentenza 10 gennaio 2009 n. 36
E’ illegittimo l’operato di una commissione di concorso che ha valutato le prove scritte di un concorrente in forma numerica, senza consentire all’interessato di conoscere gli errori, le inesattezze o le lacune in cui la commissione sia eventualmente incorsa, sì da potere valutare la possibilità di un ricorso giurisdizionale; va peraltro osservato che l’art. 11, comma 5, del D.L.vo 24 aprile 2006 n. 166 (secondo cui “Il giudizio di non idoneità è motivato. Nel giudizio di idoneità il punteggio vale motivazione”), pur essendo previsto per le prove scritte del concorso notarile, deve essere considerato applicabile a tutti i concorsi, essendo espressione del principio di trasparenza dell’attività della P.A., sancito, a livello normativo, dall’art. 3 della L. n. 241/1990 e, ancora prima, dall’art. 97, comma 1, Costituzione (1).
N. 00036/2009 REG.SEN.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 21 e 26 della legge 1034/71 e successive modifiche e integrazioni, Sul ricorso numero di registro generale 2453 del 2008, proposto da:
Malaspina Domenico, rappresentato e difeso dagli avv. Catia Puliafito, Salvatore Garofalo, con domicilio eletto presso Luigi Cimino in Catania, via Musumeci, 139;
contro
Ministero della Giustizia, Commissione Esami di Avvocato – Corte D’Appello di Catania, 3^ Sottocomm.Esami Avvocato c/o Corte Appello Cagliari, rappresentati e difesi dall’Avvocatura, domiciliata per legge in Catania, via Vecchia Ognina, 149;
per l’annullamento
previa sospensione dell’efficacia,
ESAMI DI ABILITAZIONE ALLA PROFESSIONE DI AVVOCATO – MANCATA AMMISSIONE ALLE PROVE ORALI.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Commissione Esami di Avvocato – Corte D’Appello di Catania; Visto l’atto di costituzione in giudizio di 3^ Sottocomm.Esami Avvocato c/o Corte Appello Cagliari; Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 19/11/2008 il dott. Francesco Brugaletta e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Avvisate le stesse parti ai sensi dell’art. 21 decimo comma della legge n. 1034/71, introdotto dalla legge n. 205/2000;
Visto l’art. 26 della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, nel testo modificato dall’art. 9 della L. 21 luglio 2000, n. 205,
in base al quale, nella Camera di consiglio fissata per l’esame dell’istanza cautelare, il Tar può decidere il ricorso con sentenza succintamente motivata, ove si ravvisi la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso stesso;

Accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria; Premesso quanto rappresentato nell’atto introduttivo del giudizio;
A – Visti l’art. 23, comma 7, l’art. 24, comma 1, e l’art. 17 bis, comma 2, del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37,
come novellati dal D.L. 21 maggio 2003 n. 112, nel testo integrato dalla legge di conversione 18 luglio 2003,
n. 180, in base ai quali, nel valutare le prove scritte dell’esame di abilitazione alla professione di avvocato, la Commissione giudicatrice assegna dei voti numerici ai singoli elaborati;
Visto l’art. 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni, in base al quale “Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti … lo svolgimento dei pubblici concorsi … deve essere motivato … La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria”.
Viste le ordinanze 14 novembre 2005, n. 419 e 27 gennaio 2006 n. 28, con le quali la Corte costituzionale, nel dichiarare inammissibili le questioni di legittimità costituzionale rispettivamente dell’art. 3 della L. n. 241/1990 e degli artt. 23, comma 5, 24, comma 1 e 17 bis, comma 2, del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37 e successive modificazioni (in quanto volte ad ottenere l’avallo della Corte ad una certa interpretazione delle disposizioni impugnate, piuttosto che a sottoporre alla stessa un dubbio di legittimità costituzionale), ha tuttavia esplicitamente escluso che “la tesi dell’inesistenza di un obbligo di motivazione per gli esami di abilitazione e in generale per i concorsi costituisca << diritto vivente>>”, suggerendo di fatto ai giudici remittenti di optare per una soluzione ermeneutica conforme ai principi costituzionali di cui artt. 3, 24, 97, 98 e 113 Cost., dei quali era stata denunciata la lesione.
Visto l’art. 11, comma 5, del Decreto Leg.vo 24 aprile 2006 n. 166 che, nel disciplinare le modalità di correzione delle prove scritte del concorso notarile, prescrive testualmente:
“Il giudizio di non idoneità è motivato. Nel giudizio di idoneità il punteggio vale motivazione”.
Visto altresì l’art. 12, comma 5, dello stesso Decreto Leg.vo che, nel disciplinare le modalità di svolgimento delle prove orali del concorso notarile, così dispone:
“La mancata approvazione è motivata. Nel caso di valutazione positiva il punteggio vale motivazione”. Rilevato che le due norme da ultimo riportate, ancorché riferite al concorso di notaio, debbono essere considerate come espressione del principio di trasparenza dell’attività della pubblica amministrazione, sancito, a livello normativo, dall’art. 3 della Legge n. 241/1990 e, ancora prima, dall’art. 97, comma 1, Costituzione, la cui valenza dev’essere estesa a qualsiasi procedimento concorsuale.
Ritenuto, alla luce di tale recentissimo intervento del Legislatore e delle puntualizzazioni della Corte Costituzionale prima richiamate, di poter superare l’orientamento della giurisprudenza prevalente (Cfr. ex multis, Cons. Stato, IV, 1 febbraio 2001 n. 367; Cons. Stato, VI, 29 marzo 2002 n. 1786; Cons. Stato, VI, 10
gennaio 2003 n. 67; Cons. Stato, V, 21 novembre 2003 n. 7564; Cons. Stato, IV, 5 agosto 2005 n. 4165; Cons. Stato, V, 15 dicembre 2005 n. 7136) la quale, mossa dalla preoccupazione di garantire la speditezza e l’economicità dell’azione amministrativa, ha sempre affermato che, anche dopo l’entrata in vigore della L.
n. 241/1990, nelle procedure concorsuali l’attribuzione del punteggio numerico soddisfa l’obbligo della motivazione.
Rilevato che la giurisprudenza citata, alla quale questa Sezione nel passato ha aderito (Cfr. Tar Catania, Sezione IV, 15 settembre 2005 n. 1379), ha tuttavia omesso di considerare che la valutazione di una prova ha natura composita, in quanto essa:
– costituisce l’espressione di un giudizio tecnico – discrezionale, che si esaurisce nell’ambito del procedimento concorsuale, allorché tale giudizio è positivo, di modo che essa può essere resa con un semplice voto numerico;
– rappresenta al tempo stesso, oltre che un giudizio, un provvedimento amministrativo che conclude il procedimento concorsuale, tutte le volte in cui alle prove di un candidato venga attribuito un punteggio insufficiente, donde la necessità, in tale ipotesi, che all’assegnazione del voto faccia seguito l’espressione di un giudizio di non idoneità, con il quale vengano esplicitate le ragioni della valutazione negativa, conformemente al disposto di cui all’art. 3 della L. n. 241/1990, ove questo venga interpretato – conformemente all’orientamento prevalente – nel senso che la motivazione è necessaria solo per gli atti aventi contenuto provvedimentale.
Rilevato che la soluzione prospettata è coerente con le ripetute affermazioni giurisprudenziali secondo cui (Cfr. Tar Toscana, Sezione II, 4 novembre 2005 n. 5557), “in tema di prove scritte concorsuali, al candidato deve essere assicurato il diritto di conoscere gli errori, le inesattezze o le lacune in cui ritiene che la commissione sia incorsa, sì da potere valutare la possibilità di un ricorso giurisdizionale e che, conseguentemente, il rispetto dei principi anzidetti impone che alla valutazione sintetica di semplice <<non inidoneità>> si accompagnino quanto meno ulteriori elementi sulla scorta dei quali sia consentito ricostruire ab externo la motivazione del giudizio valutativo; tra questi, in specie, in uno alla formulazione dettagliata e puntuale dei criteri di valutazione fissati preliminarmente dalla commissione, elementi e dati che consentano di individuare gli aspetti della prova non valutati positivamente dalla commissione (cfr., per tutte, Cons. Stato, Sez. VI, 2 marzo 2004 n. 974)”.
Rilevato altresì che, nei casi di valutazione negativa, ove sussista l’obbligo della motivazione, la competente Commissione è costretta ad un più attento esame degli elaborati, al fine di giustificare in maniera adeguata e

puntuale il proprio operato, suscettibile di essere sottoposto al vaglio dell’Autorità giurisdizionale, il che sicuramente rafforza l’osservanza del principio di buon andamento di cui all’art. 97 Costituzione.
Ritenuto, per le ragioni che precedono, modificando l’orientamento giurisprudenziale sin qui seguito, di
annullare l’impugnato verbale redatto dai componenti la Commissione per gli esami di Avvocato, incaricata della correzione degli elaborati scritti, limitatamente alla correzione degli elaborati del ricorrente, ed il conseguenziale provvedimento di non idoneità alla prova orale, emesso dalla Commissione per l’esame di Avvocato presso la Corte di Appello di CATANIA, sussistendo la denunciata violazione dell’art. 3 della L. n. 241/1990.
Ritenuto, per il resto, di assorbire le ulteriori censure.
B – Ritenuto che dalla superiore pronuncia deriva l’obbligo per l’Amministrazione di valutare ex novo gli elaborati scritti del ricorrente, conformandosi ai principi di diritto enucleati dal Collegio, e che tale valutazione dovrà essere effettuata dalla Commissione per gli esami di Avvocato di CAGLIARI, con l’osservanza di ogni modalità utile a garantire l’anonimato degli elaborati, e, in ogni caso, con una composizione diversa rispetto a quella della Sottocommissione che ha effettuato la prima valutazione (Cfr. Cons. Stato, IV, 20 febbraio 1998, n. 6250; Tar Veneto, Sezione I, 15 gennaio 2004, n. 62; Cons. Stato, V, 29 agosto 2005 n. 4407; Tar
Napoli, Sezione II, 20 gennaio 2006 n. 764; Tar Veneto, Sezione III, 8 settembre 2006 n. 2882).
Ritenuto che il Presidente della Commissione per gli esami di avvocato di CATANIA dovrà pertanto trasmettere le fotocopie autenticate degli elaborati scritti del ricorrente – dalle quali dovranno essere stati cancellati i voti precedentemente attribuiti ed il precedente numero identificativo del candidato – alla Commissione per gli esami di Avvocato di CAGLIARI, affinché questa compia le valutazioni di competenza, entro il termine di trenta giorni dalla ricezione dei predetti elaborati.
Ritenuto che, all’atto della trasmissione, le predette fotocopie dovranno essere collocate in una busta nuova, provvista di nuovo numero identificativo progressivo, all’interno della quale sarà collocata una busta più piccola contenete le generalità del candidato, e che nella lettera di trasmissione dovrà essere indicata la Sottocommissione per gli esami di avvocato presso la Corte di Appello di CAGLIARI che aveva effettuato la prima valutazione, per evitare che questa sia utilizzata per la seconda valutazione.
Ritenuto di compensare integralmente tra le parti le spese e gli onorari del giudizio. P.Q.M.
accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati, nei modi di cui in motivazione e con le prescrizioni ivi indicate.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 19/11/2008 con l’intervento dei Magistrati: Biagio Campanella, Presidente
Ettore Leotta, Consigliere
Francesco Brugaletta, Consigliere, Estensore DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 10/01/2009

CONCORSO, DEVE ESSERE PRECEDUTO DA PROCEDURE DI MOBILITA’
TAR EMILIA ROMAGNA – BOLOGNA, SEZ. I – sentenza 2 dicembre 2009 n. 2634
E’ illegittima la delibera con la quale una P.A. indice un concorso pubblico per la copertura di un posto vacante, approvando il relativo bando, ove non abbia preventivamente avviato le procedure di trasferimento mediante mobilità da altre amministrazioni, in violazione dell’art. 30, comma 2 bis, del del D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165 (introdotto dall’art. 5 comma 1-quater del D.L. 31 gennaio 2005 n. 7, convertito con la L. 31 marzo 2005 n. 43), il quale prevede l’obbligo per le PP.AA., che intendano effettuare assunzioni di personale, di avviare le procedure di trasferimento mediante mobilità, prima di indire il concorso pubblico (fattispecie relativa alla copertura con contratto a tempo indeterminato di n. 1 posto di funzionario amministrativo di un ente locale).
TAR EMILIA ROMAGNA – BOLOGNA, SEZ. I – sentenza 2 dicembre 2009 n. 2634
N. 02634/2009 REG.SEN.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 21 e 26 della legge 1034/71 e successive modifiche e integrazioni, Sul ricorso numero di registro generale 1238 del 2009, proposto da:
Bruna Pelessoni, rappresentato e difeso dagli avv. Monica Paradisi, Giulio Guidarelli, con domicilio eletto presso l’avv. Antonio Carullo in Bologna, Strada Maggiore 47;
contro

Unione dei Comuni della Bassa Romagna, Comune di Cotignola, rappresentati e difesi dagli avv. Claudio Cristoni, Gian Alberto Ferrerio, con domicilio eletto presso il loro studio in Bologna, via Garibaldi 1;
nei confronti di
Simona Salvatori;
per l’annullamento
previa sospensione dell’efficacia,
del bando di selezione pubblica per esami per la copertura con contratto a tempo indeterminato di n.1 posto di funzionario amministrativo (Cat. D3 posizione economica D/3) presso il Settore Socio-Culturale del Comune di Cotignola, indetto dall’Unione dei Comuni della bassa Romagna in data 8 settembre 2009;
del provvedimento del 28 settembre 2009, con cui l’Unione dei comuni della bassa Romagna – Area Personale e Organizzazione – Servizio Sviluppo del Personale ha comunicato alla ricorrente che non avrebbe dato seguito alla richiesta di revoca del bando di cui al punto precedente presentata dalla ricorrente; della delibera della Giunta del Comune di Cotignola del 14 maggio 2009, n.46, con il quale è stato approvato il piano del fabbisogno del personale 2009-2011 (1° stralcio), nella parte in cui ha escluso la copertura del posto vacante attraverso il ricorso alla mobilità volontaria;
della determinazione del Dirigente dell’Area Personale e Organizzazione, dell’Unione dei Comuni della bassa Romagna n.399 del 16 luglio 2009, con la quale è stata indetta la selezione pubblica di cui sopra ed è stata nominata la commissione giudicatrice;
della determinazione del responsabile del Servizio Sviluppo del Personale dell’Unione dei Comuni della bassa Romagna n.488 dell’8 settembre 2009, di approvazione del bando della selezione pubblica di cui sopra;
dell’art. 7, del Regolamento di organizzazione del Comune di Cotignola, approvato con delibera di Giunta
n.127 del 19 dicembre 2002 e successivamente modificato con delibere di Giunta n.12 del 14 febbraio 2008,
n.125 del 19 dicembre 2008 e n.28 del 26 marzo 2009. Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Cotignola;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Unione dei Comuni della Bassa Romagna; Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 19 novembre 2009 il dott. Ugo De Carlo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Avvisate le stesse parti ai sensi dell’art. 21 decimo comma della legge n. 1034/71, introdotto dalla legge n. 205/2000;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Con ricorso notificato in dato 4.11.09 e depositato in data 6.11.09 la ricorrente impugnava i provvedimenti indicati in epigrafe perché ritenuti lesivi del suo diritto ad ottenere il trasferimento per mobilità presso il Comune di Cotignola per svolgere una mansione equivalente a quella per la quale era stato predisposto il bando di concorso impugnato.
A tal proposito faceva presente di essere una dipendente della AUSL di Ravenna con la qualifica di Collaboratore Amministrativo Professionale Esperto e di aver attivato la procedura per la mobilità intercompartimentale per il passaggio tra amministrazioni diverse.
Dopo aver chiesto il nulla osta all’amministrazione di appartenenza, la ricorrente aveva presentato domanda all’Associazione Intercomunale Bassa Romagna e poi direttamente al Comune di Cotignola.
In un primo momento le fu risposto che allo stato non vi erano posti vacanti , ma che la richiesta sarebbe
stata inserita nella banca dati, successivamente quando si rese vacante il posto per la sua medesima qualifica presso il Settore Socio-Culturale del Comune di Cotignola, l’Unione dei Comuni della Bassa Romagna bandi una selezione pubblica per esami anziché procedere all’assunzione per mobilità volontaria. Il ricorso si fonda su tre motivi.
Il primo contesta la violazione dell’art. 30 D.lgs. 165\ 01 e dell’art. 88 D.lgs. 267\00 oltre all’eccesso di potere per carenza di motivazione e ingiustizia manifesta.
L’indizione della selezione pubblica contravveniva al disposto dell’art. 30, comma 2 bis, sopra richiamato poiché tale prescriveva il ricorso alle procedure di mobilità prima di assumere esterni attraverso un bando di concorso.
Tale priorità è operante anche nei confronti degli enti locali a mente dell’art. 88 D.lgs. 267\ 00.
Il bando peraltro non dà neanche atto di aver proceduto alla verifica circa la sussistenza di domande di mobilità e non dà conto del cambiamento di indirizzo rispetto a quello che aveva comunicato alla ricorrente con nota del 4.2.09.
Il secondo motivo censura la violazione dell’art. 3 L. 241\ 90 dell’art. 97 Cost. , la violazione dei principi di efficienza ed economicità nonché l’eccesso di potere per contraddittorietà e difetto di istruttoria.
Nel bando di concorso manca qualunque motivazione circa le ragioni che hanno determinato l’unione dei Comuni a disattendere la previsione normativa di cui all’art. 30 D.lgs. 165\01 peraltro adottando una

procedura più onerosa per le finanze dell’ente promotore e comportante un aggravamento di procedure che poteva essere evitato.
Peraltro è privo di qualunque effetto legittimante quanto comunicato dall’Unione dei Comuni della Bassa
Romagna con nota 5766 del 28.9.09 circa il fatto che la decisione di bandire la selezione deriverebbe da una delibera di Giunta del Comune di Cotignola.
Tale comune non ha di per sé alcuna competenza in merito poiché per effetto di un accordo tra i Comuni
costituenti l’Unione tutte le funzioni relative al personale ed all’organizzazione sono state trasferite all’Unione che non a caso si è fatta promotrice della selezione
Il difetto di istruttoria deriva dalla mancata verifica di tutte le domande di mobilità pervenute nel semestre
precedente e la contraddittorietà per il contrasto tra la determinazione di operare una selezione pubblica e quanto garantito alla ricorrente con la nota del 4.2.09.
Il terzo motivo lamenta la violazione da parte dell’art. 7 del regolamento di organizzazione del Comune di
Cotignola dell’art. 30 D.lgs. 165\01 che prevede che la valutazione delle domande di mobilità debba avere carattere ampiamente discrezionale ed il contrasto con la Circolare nr. 3 del 2.5.06 del Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio che ribadisce la necessità di garantire in via prioritaria le procedure di mobilità rispetto a quelle concorsuali.
L’Unione dei Comuni della Bassa Romagna ed il Comune di Cotignola si costituivano in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso.
Il ricorso è fondato.
La lettura del disposto dell’art. 30 D.lgs. 165\01 non lascia adito a dubbi circa il fatto che le procedure di mobilità debbano essere preferite a quelle concorsuali.
La modifica apportata nel 2005 con l’inserimento del comma 2 bis ha voluto proprio significare che quella che poteva sembrare una facoltà della amministrazioni è divenuto un obbligo che prioritariamente,in caso di vacanze organiche prevede la mobilità di coloro che sono comandati presso l’amministrazione che necessità di assumere o che vi si trovano in posizione di fuori ruolo, ma che comunque obbliga le amministrazioni a verificare se esistono domande di mobilità prima di procedere in altra direzione per ottenere il personale di cui necessità.
Non può essere accolta la lettura riduttiva operata dalle amministrazioni resistenti che ritengono l’obbligo sussistente solo per i dipendenti di altre amministrazioni in comando o fuori ruolo presenti presso di loro.
Tutte le sentenze esistenti sul punto, ed in parte richiamate nel ricorso ( vedasi tra tutte la più recente TAR
Toscana 1212\09 ), affermano che la priorità della mobilità va applicata a tutto campo e che solo una diffusa motivazione circa la necessità di procedere ad una selezione pubblica può consentire una deroga.
Tale possibile motivazione viene adombrata nella memoria di costituzione dei resistenti che cercano di
fornire una giustificazione della scelta effettuata, ma manca assolutamente nel bando impugnato che si limita a riferire che sono stati compiuti gli adempimenti di cui all’art. 34 bis D.lgs. 165\01 relativi al personale in disponibilità.
Peraltro è chiara la ratio di una previsione quale quella non applicata nel caso di specie: in un momento in cui da anni è previsto il blocco delle assunzioni nel pubblico impiego salvo deroghe concesse dalla Presidenza del Consiglio a fronte di motivate esigenze, per favorire una diminuzione della spesa pubblica e per ridurre organici delle P.A. spesso pletorici poiché frutto di assunzioni in epoche in cui non si guardava con attenzione ai principi di economicità e di efficienza della P.A.
La scelta dell’Unione dei Comuni della Bassa Romagna non si giustifica quindi sotto nessun profilo neanche per l’esistenza dell’art. 7 del Regolamento di organizzazione del Comune di Cotignola poiché tale norma non dovrebbe trovare applicazione essendo l’assunzione atto di competenza dell’Unione e comunque perché, ponendosi la norma regolamentare in contrasto con l’art. 30 D.lgs. 165\01, essa non andava applicata secondo il principio della gerarchia delle fonti e ben può essere disapplicata dal giudice amministrativo.
Debbono pertanto essere annullati, in accoglimento del ricorso, sia il bando di selezione pubblica per esami del 8.9.09 che il provvedimento del 28.9.09 di mancata revoca del bando, nonché della determinazione del Dirigente dell’Area personale e Organizzazione dell’Unione dei Comuni della Bassa Romagna nr. 399 del
16.7.09 che indiceva la selezione e nominava la commissione e della determinazione nr. 488 del responsabile del Servizio Sviluppo del Personale dell’Unione dei Comuni della Bassa Romagna.
Le spese possono essere compensate stante la novità della questione e la mancanza di un consolidato orientamento in merito.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale dell’Emilia-Romagna, Sezione I, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso e per l’effetto annulla i provvedimenti indicati in motivazione.
Spese compensate ad eccezione del rimborso del contributo unificato ex art. 13,comma 6 bis,D.P.R. 115\02,
nella somma di € 500.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 19 novembre 2009 con l’intervento dei Magistrati:
Calogero Piscitello, Presidente

Sergio Fina, Consigliere
Ugo De Carlo, Referendario, Estensore DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 02/12/2009

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V – sentenza 26 agosto 2009 n. 5080
N. 5080/09 REG.DEC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Quinta Sezione ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 9325/2005 proposto da Avella Luigi, rappresentato e difeso dall’avv. Della Gatta Ugo, selettivamente domiciliato in Roma, via Fabio Massimo n. 107, presso l’avv. G. Torino;
contro
la Regione Campania, in persona del Presidente p.t. della Giunta Regionale, rappresentata e difesa dagli avv.ti Vincenzo Baroni e Gherardo Marone, elettivamente domiciliati in Roma, presso lo studio Napolitano, viale Angelico n. 38;
e nei confronti
di Tuccillo Brenardino e Sarnacchiaro Giuseppina, non costituiti in giudizio; interventori ad opponendum
Ascione Eduardo. Zeuli Beatrice, rappresentati e difesi dagli avvocati Sergio Como e Orazio Abbamonte, elettivamente domiciliati in Roma, presso lo studio del primo, via Antonelli n. 49;
per l’annullamento
della sentenza n. 13883/2005 con la quale il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sez. III, ha respinto il ricorso proposto avverso la graduatoria relativa procedura concorsuale o per la copertura di cinquantadue posti di dirigente amministrativo;
Visti il ricorso e gli altri atti di causa;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Campania;
Relatore alla pubblica udienza del 31 marzo 2009 il Cons. Francesco Caringella; Uditi gli avvocati Della Gatta, Marone e Como, come da verbale di udienza; considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
FATTO E DIRITTO
1. Con il presente appello parte ricorrente contesta la decisione con la quale i Primi giudici hanno respinto proposto in prime cure avverso gli atti relativi alla procedura concorsuale in esame.
Si è costituita in giudizio la Regione Campania, che ha concluso richiedendo il rigetto del ricorso, stante la sua infondatezza.
Si sono altresì costituti i concorrenti in epigrafe specificati.
All’odierna udienza, la causa è stata riservata in decisione.
2. La causa è matura per la decisione, non ravvisandosi elementi ostativi ad una decisione necessaria, come pure sottolineato dalle parti controinteressate, al fine di stabilire l’assetto definivo della procedura concorsuale per i conseguenti incombenti in capo alla p.a..
3. L’appello è infondato.
Va rammentato, in punto di fatto, che parte ricorrente, dipendente della Regione Campania, ha partecipato alle prove preselettive per il concorso indicato in epigrafe, senza collocarsi utilmente per l’ammissione alle successive prove di concorso
Anche in sede di appello parte ricorrente sostiene che la riserva di posti del 50% per i cd. candidati interni avrebbe dovuto essere applicata anche alla prova preselettiva e lamenta che l’illegittimità dell’esclusione disposta a causa della mancata applicazione di detto metodo.
Venendo al quadro normativo di riferimento, va altresì rammentato che il “Regolamento recante disposizioni in materia di accesso agli impieghi nella Giunta Regionale della Campania e le modalità di svolgimento dei concorsi”, prevede, per quel che rileva ai fini del presente giudizio, che, nell’ambito delle procedure concorsuali per posti di dirigente (Capo IV reg.), “l’amministrazione ha facoltà di riservare ai candidati interni un numero di posti complessivamente non superiore al 50% dei posti messi a concorso” (art. 17).
Il successivo Capo V (“procedimento di selezione”), dopo aver indicato (art. 19) le “fasi del procedimento”, prevede che “nel
bando l’amministrazione ha facoltà di riservare ai candidati interni un numero di posti complessivamente non superiore al 50% dei posti messi a concorso” (art. 25).
Infine, il Capo VI (“procedure concorsuali”), dopo aver definito (art. 32) le prove concorsuali, come quelle “sia
scritte che orali o pratiche”, prevede, all’art. 40, la possibilità di una “prova di preselezione”. Secondo tale disposizione “i bandi di concorso pubblico possono contenere la previsione di una prova di preselezione, per l’ammissione alle altre, cui si fa ricorso nei casi in cui il numero dei candidati ammessi al concorso sia pari o superiore a cinque volte il numero dei posti messi a concorso. In tale caso l’amministrazione procede alla

preselezione dei concorrenti mediante il ricorso a test selettivi o prove psico-attitudinali su domande di cultura specifica sulle materie indicate dal bando e/o di natura attitudinale. Sulla base dei risultati di tale prova è ammesso a sostenere le successive prove un numero di candidati non superiore al triplo dei posti messi a concorso . . .”.
Nel caso del concorso oggetto del ricorso in esame, l’amministrazione si è avvalsa della facoltà di riservare posti al personale interno partecipante, nella misura massima consentita dal Regolamento, cioè pari al 50% dei posti messi a concorso, ed ha fatto riserva di avvalersi di quanto previsto dall’art. 40 del Regolamento, in ordine alla possibilità di sottoporre i candidati a prova preselettiva, verificandosi i presupposti previsti dalla norma citata.
Tanto detto in ordine ai presupposti fattuali del contenzioso ed al quadro normativo nel quale esso si iscrive, la Sezione considera suscettibili di condivisione le considerazioni svolte dal Primo Giudice in ordine alla legittimità della procedura in esame rispetto alle censure al suo indirizzo rivolte ad opera della parte ricorrente.
Alla stregua della normativa regolatrice della materia reputa infatti il Collegio che la riserva del 50% dei posti messi a concorso, prevista sia dal Regolamento sia dal bando di concorso, non debba essere applicata anche alla prova preselettiva.
Poste le premesse secondo cui l’ordinamento giuridico, alla luce delle coordinate costituzionali, mostra un chiaro favor per l’accesso concorsuale esterno e il concorso con una quota riservata costituisce una procedura unitaria ispirata al canone della par condicio, si deve convenire, alla luce dei principi generali delle procedure concorsuali e della non equivoca disciplina speciale che regge la tornata in parola, che solo al momento di attribuzione in concreto dei posti messi a concorso ai soggetti che hanno superato le prove previste, e quindi, in sede di redazione della graduatoria finale dei vincitori, viene in gioco l’appartenenza alla pubblica amministrazione che ha bandito il concorso come causa di precedenza –nei limiti dei posti riservati
– rispetto ad altri concorrenti ancorché meglio collocati in graduatoria.
La specialità della procedura preselettiva in parola, sottolineata dall’ appellante, non è peraltro tale da scalfire la considerazione centrale svolta dal Primo Giudice, secondo cui la prova preselettiva non costituisce un procedimento distinto dal concorso propriamente detto e dalle prove in cui esso si articola, al quale applicare, in modo avulso, la riserva dei posti. Essa, infatti, insieme alle altre prove, costituisce una fase della procedura concorsuale, nell’ambito del quale concorre allo svolgimento della funzione selettiva (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 6 maggio 2004 n. 2797).
Dette coordinate sono confermate, come cennato, anche con riguardo alla procedura in parola, posto che il Regolamento dei concorsi della Regione Campania ricomprende l’ eventuale prova preselettiva, nell’ambito delle “prove” di concorso.
Diversamente opinando, e cioè applicando un meccanismo di riserva “intermedio” a favore dei candidati interni, i candidati interni verrebbero da’altronde a disporre, in modo illogico e non autorizzato dalla disciplina, a disporre non già di una quota di posti da assegnare a seguito della graduatoria degli utilmente collocati bensì di una quota di posti riservati “fin dall’origine”. La “prelazione” disposta in favore dei candidati interni che hanno superato tutte le prove, collocandosi utilmente in graduatoria, finirebbe quindi, in spregio alle coordinate costituzionali in tema di eccezionalità delle riserve interne, con il divenire un numero di posti ab origine intangibile.
Deve in definitiva convenirsi che, in seno ad un concorso ontologicamente unitario in cui la prova preselettiva è solo una delle prove della procedura complessivamente intesa, lo status che consente di utilizzare la quota di riserva, viene in rilievo solo dopo l’espletamento delle prove, in coerenza con il disposto dell’art. 16 DPR 9 maggio 1994 n. 487 (Regolamento recante norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni), a tenore del quale solo dopo il superamento delle prove orali (e quindi ai fini della compilazione della effettiva graduatoria dei vincitori) i candidati positivamente valutati devono far pervenire all’amministrazione “i documenti attestanti il possesso dei titoli di riserva”, ove non già in possesso dell’amministrazione medesima.
Tanto detto per il motivo principale va osservato che la riproposizione dei motivi ulteriori non contiene una puntuale critica agli argomenti svolti dal Primo Giudice. Va in ogni caso rilevato che la procedura risulta immune dalla prospettate censure, se si considera che la decisione di avviare la procedura preselettiva è esercizio di una facoltà prevista dalla normativa regolatrice della materia che non richiede specifica motivazione e che lo svolgimento della procedura, sotto il profilo degli organi deputati alla relativa gestione e delle regole da seguire nel suo svolgimento, è risultata conforme alle prescrizioni del regolamento e della lex specialis otre che ai principi generali regolatori della materia concorsuale.
3. In definitiva, quindi, l’appello deve essere respinto. Le spese possono essere compensate.
Per Questi Motivi
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l’appello, compensando le spese;
ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 31 marzo 2009, con l’intervento dei signori: Stefano Baccarini – Presidente

G.Paolo Cirillo – Consigliere Filoreto D’Agostino – Consigliere Aniello Cerreto – Consigliere Francesco Caringella – Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 26.08.2009

USO DI BIANCHETTO, DETERMINA L’ESCLUSIONE
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V – sentenza 3 settembre 2009 n. 5175
E’ legittima l’esclusione da un concorso pubblico motivata con riferimento al fatto che il candidato escluso, disattendendo le puntuali istruzioni comunicate dalla commissione sull’obbligo di non fare uso, durante la prova, di altro materiale al di fuori di quello consegnato (nella specie erano stati consegnati fogli, buste ed una penna di colore nero con cui svolgere la prova), ha utilizzato il c.d. “bianchetto” per cancellare determinate frasi del testo manoscritto; l’uso del “bianchetto”, infatti, risulta, in tal caso, essere chiaramente in contrasto con le richiamate puntuali disposizioni, e deve considerarsi un idoneo strumento di riconoscimento dell’autore dell’elaborato.
N.5175/09 REG.DEC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale,quinta Sezione ha pronunciato la seguente
DECISIONE
nella Camera di Consiglio del 28 Aprile 2009.
Visti gli art.33, commi terzo e quarto, e l’art.23 bis commi terzo e ottavo della legge 6 dicembre 1971, n. 1034;
Visto l’appello, proposto dalla Sig.ra ANTONELLA PILERI, rappresentata e difesa dall’Avv. MARIA DI
PAOLO con domicilio eletto in Roma, VIA G. MORGAGNI, 2/B presso il dott. UMBERTO SEGARELLI; contro
la PROVINCIA DI TERNI , rappresentata e difesa dagli Avv.ti ANNA MARIA PITZOLU e PATRIZIA
BECECCO con domicilio eletto in Roma, VIA CRESCENZIO, 42 presso, la dott.ssa ANNA MARIA PITZOLU; per la riforma
previa sospensione dell’efficacia, della sentenza del TAR UMBRIA – PERUGIA PRIMA SEZIONE n. 16/2009,
resa tra le parti, concernente CONCORSO PUBBLICO PER LA COPERTURA DI 2 POSTI DI AGENTE DI POLIZIA LOCALE C1;
Visto gli atti e documenti depositati con l’appello;
Vista la domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza di reiezione, presentata in via incidentale dalla parte appellante;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della PROVINCIA DI TERNI;
Alla pubblica udienza del 28 Aprile 2009 , relatore il Consigliere Adolfo Metro ed udito, altresì, l’avvocato Segarelli per delega dell’avvocato Di Paolo e l’avvocato Pitzolu;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
-Comunicata alle parti la definizione dell’incidente cautelare con decisione in forma semplificata;
-preso atto che oggetto del giudizio è il provvedimento di esclusione della ricorrente dalla prova scritta del concorso in oggetto per essersi servita, nella stesura della stessa, del correttore (c.d. “bianchetto”) e che ciò è stato considerato segno di riconoscimento;
-premesso che le disposizioni della Commissione sullo svolgimento della prova non appaiono viziate da illogicità, essendo preordinate a salvaguardare l’anonimato delle prove scritte con prescrizioni più rigorose di quanto stabilito dal regolamento;
-considerato che era stato espressamente comunicato, ai candidati, l’obbligo di “non fare uso, per la prova, di altro materiale al di fuori di quello consegnato” e che si è provveduto a fornire i candidati stessi, oltre che di fogli e buste, anche di una penna di colore nero con cui svolgere la prova;
-considerato che l’uso del c.d. “bianchetto” per cancellare determinate frasi del testo manoscritto risulta essere chiaramente in contrasto con le richiamate puntuali disposizioni e può considerarsi un idoneo strumento di riconoscimento dell’autore dell’elaborato;
-considerato, pertanto, che devono ritenersi infondati i motivi di appello che va, di conseguenza, respinto;
-considerato che in relazione agli elementi di causa le spese del giudizio possono essere compensate. PQM
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta ,
Respinge l’appello n. 2322/09 meglio in epigrafe; compensa, tra le parti, le spese dei due gradi del giudizio.

La presente decisione sarà eseguita dalla Amministrazione ed è depositata presso la segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 28 Aprile 2009 con l’intervento dei Sigg.ri:
Domenico La Medica Presidente Cesare Lamberti Consigliere Aldo Scola Consigliere
Vito Poli Consigliere
Adolfo Metro Consigliere Est. L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
f.to Adolfo Metro f.to Domenico La Medica DEPOSITATA IN SEGRETERIA il……………..03/09/2009……………..

TRASFERIMENTO PER CONCORSO, SI PERDE L’ANZIANITA’
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI – sentenza 16 febbraio 2009 n., 854
La conservazione dell’anzianità già maturata dal pubblico dipendente è limitata a casi tassativi e, segnatamente, al caso dell’art. 200, T.U. n. 3/1957, di dipendenti trasferiti da uno ad altro ruolo di corrispondente carriera della stessa Amministrazione, ed al caso dell’art. 199 del medesimo T.U. che, del pari, disciplina una forma di trasferimento del dipendente, con il suo consenso, per specifiche esigenze dell’Amministrazione; viceversa , nell’ipotesi di passaggio volontario del dipendente da una ad altra Amministrazione, a seguito di concorso del tutto autonomo, la volontarietà del concorso esclude il diritto di chi lo compie alla conservazione dell’anzianità di servizio precedente e ad essere collocato nel nuovo ruolo in posizione tale da pregiudicare gli interessi dei dipendenti che già vi appartenevano (1).
N.854/09 Reg.Dec.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente DECISIONE
sul ricorso in appello n. 2280/2008, proposto da Stefano MASSARELLI e Sandro CINI, rappresentati e difesi
dagli avvocati Renato Scognamiglio e Claudio Scognamiglio, ed elettivamente domiciliati presso il loro studio, in Roma, Corso Vittorio Emanuele, n. 326;
contro
Autorità Garante della concorrenza e del mercato (d’ora innanzi AGCM), in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato ex lege domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio – Roma, sez. I, 12 novembre 2007 n. 11141. Visto il ricorso in appello;
visto l’atto di costituzione in giudizio dell’AGCM;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; visti gli atti tutti di causa;
relatore alla pubblica udienza del 10 febbraio 2009 il consigliere Rosanna De Nictolis;
udito l’avv. Porcelli su delega dell’avv. Scognamiglio per gli appellanti e l’avvocato dello Stato Maddalo per l’amministrazione appellata;
ritenuto e considerato quanto segue:
FATTO E DIRITTO
1. Con il ricorso di primo grado, notificato il 4 dicembre 2001, gli odierni appellanti, dipendenti dell’AGCM, chiedevano l’accertamento del proprio diritto alla valutazione dell’anzianità maturata presso l’amministrazione di provenienza, al fine della determinazione del loro trattamento retributivo, e la conseguente condanna dell’amministrazione al pagamento delle differenze retributive maggiorate di interessi e rivalutazione monetaria.
1.1. Il Tar adito con la sentenza in epigrafe ha respinto il ricorso.
1.2. Hanno proposto appello gli originari ricorrenti.
1.3. L’AGCM ha eccepito l’inammissibilità del ricorso di primo grado per difetto di tempestiva impugnazione del provvedimento di inquadramento, la prescrizione del diritto al maggior trattamento economico, l’infondatezza dell’appello.
2. L’eccezione di prescrizione risulta articolata per la prima volta in appello (non rinvenendosi, nel fascicolo di ufficio del giudizio di primo grado, né memorie dell’AGCM in cui risulti proposta l’eccezione, né verbali da cui risulti che l’eccezione è stata articolata in udienza), e pertanto è inammissibile, secondo il consolidato orientamento di questo Consesso (Cons. St., ad. plen., 29 dicembre 2004 n. 14).

3. Dall’esame dell’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado, per omessa tempestiva impugnazione del provvedimento, si può prescindere, essendo l’appello infondato nel merito.
4. Con il ricorso di primo grado si invocava l’applicazione degli artt. 65, 199 e 200, t.u. n. 3/1957.
Si assumeva che essendo i ricorrenti transitati <<senza soluzione di continuità>>, dall’amministrazione delle poste all’AGCM, in sede di inquadramento occorreva tener conto dell’anzianità pregressa.
4.1. Il Tar ha respinto tale tesi osservando che:
– i ricorrenti hanno superato un concorso pubblico per titoli e per esami presso l’AGCM, e questo ha comportato l’instaurazione di un nuovo rapporto di impiego rispetto a quello precedente;
– costituisce principio generale quello secondo cui la conservazione dell’anzianità già maturata dal pubblico
dipendente è limitata a casi tassativi e, segnatamente, al caso dell’art. 200, t.u. n. 3/1957, di dipendenti trasferiti da uno ad altro ruolo di corrispondente carriera della stessa amministrazione, e al caso dell’art. 199, medesimo t.u. che del pari disciplina una forma di trasferimento del dipendente, con il suo consenso, per specifiche esigenze dell’amministrazione;
– diverso è il caso di passaggio volontario del dipendente da una ad altra amministrazione a seguito di concorso del tutto autonomo: la volontarietà del concorso esclude il diritto di chi lo compie ad essere collocato nel nuovo ruolo in posizione tale da pregiudicare gli interessi dei dipendenti che già vi appartenevano (Cons. St., sez. VI, 3 febbraio 2004 n. 338);
– inconferente sarebbe la giurisprudenza invocata in materia di r.i.a., trattandosi di peculiare istituto contrattuale – proprio del comparto ministeri – attributivo di un beneficio puramente economico, laddove i ricorrenti non chiedono un beneficio solo economico, ma invocano un superiore inquadramento, per effetto della valutazione dell’anzianità pregressa.
4.2. Con l’atto di appello la sentenza viene contestata. Si osserva che:
– non risponderebbe al vero che il superamento di un nuovo concorso pubblico interrompe la continuità del rapporto di servizio;
– non risponderebbe al vero che in caso di superamento di un nuovo concorso pubblico la conservazione della pregressa anzianità è una regola eccezionale;
– al contrario, il principio generale sarebbe la unitarietà e continuatività del rapporto di servizio, come si
desumerebbe anche dall’art. 202 t.u. n. 3/1957;
– l’art. 200 t.u. n. 3/1957 riguarderebbe non solo il personale trasferito a seguito di provvedimento del Ministro competente, ma anche il personale trasferito a seguito di superamento di un concorso.
5. Le censure sono infondate.
5.1. L’art. 65, t.u. n. 3/1957, fissa il divieto di cumulo di più impieghi pubblici, imponendo a chi assume un nuovo impiego pubblico la cessazione del precedente: pertanto, l’opzione esercitata a suo tempo dai ricorrenti, già dipendenti dell’Amministrazione delle poste, e risultati vincitori di un concorso presso l’AGCM, costituiva un atto dovuto, in difetto del quale sarebbero comunque cessati di diritto dall’impiego precedente, all’atto dell’assunzione del nuovo.
L’art. 65 in commento, comunque, nulla dice in ordine alla conservazione della pregressa anzianità nel caso di passaggio da uno ad altro impiego pubblico.
5.2. A loro volta gli artt. 199 e 200, invocati dagli appellanti, regolano fattispecie diverse.
L’art. 199 disciplina il trasferimento di pubblici impiegati da una ad altra amministrazione, per esigenze proprie dell’amministrazione; dato che il trasferimento avviene per soddisfare esigenze dell’amministrazione, si giustifica la conservazione dell’anzianità di servizio.
L’art. 199 prescinde dal superamento di un concorso pubblico, il passaggio da una ad altra amministrazione è <<trasferimento>>.
Cosa diversa è il superamento di un nuovo concorso pubblico aperto all’esterno, a cui chi è già dipendente
pubblico si sottopone volontariamente, e in posizione di parità con gli altri concorrenti.
In tale evenienza, se non vi sono norme specifiche che disciplinano la conservazione dell’anzianità di servizio precedente, chi è già dipendente pubblico concorre in posizione di parità con gli altri partecipanti, e non ha titolo a conservare pregresse anzianità.
Un esempio chiarificante è costituito dal concorso per l’accesso alla magistratura ordinaria, o per l’accesso alla magistratura amministrativa: i pubblici impiegati che vi concorrono vengono collocati in graduatoria secondo l’ordine di merito, e, entro certi limiti, sulla base di certi titoli di preferenza, ma nessuna norma contempla la conservazione della pregressa anzianità al fine dell’inquadramento.
5.3. L’art. 200, t.u. n. 3/1957, a sua volta, al co. 2 dispone che il Ministro competente può disporre il trasferimento degli impiegati civili da un ruolo ad altro di corrispondente carriera della stessa amministrazione, e al co. 3 dispone che gli impiegati trasferiti conservano l’anzianità di carriera e di qualifica acquisita, e sono collocati nei nuovi ruoli con la qualifica corrispondente a quella di provenienza e nel posto che loro spetta secondo l’anzianità nella qualifica già ricoperta.
Ancora una volta, la conservazione dell’anzianità maturata riguarda gli <<impiegati trasferiti>>.
5.4. Non possono invece essere equiparati ai <<trasferiti>> gli impiegati che superano un nuovo concorso pubblico, contemplati dal co. 1 del medesimo art. 200 (a tenore del quale <<gli impiegati civili di ruolo dello

Stato, che siano in possesso degli altri necessari requisiti, possono partecipare senza alcun limite di età ai pubblici concorsi per l’accesso a qualsiasi carriera delle amministrazioni dello Stato>>).
Contrariamente a quanto sostenuto dagli appellanti, il co. 3 dell’art. 200, nel menzionare gli impiegati
<<trasferiti>>, intende far riferimento solo alla situazione del co. 2, non a quella del co. 1, in quanto il superamento di un nuovo concorso pubblico non costituisce <<trasferimento>>.
5.5. Neppure dall’art. 202, t.u. n. 3/1957 può desumersi una regola conforme a quella invocata dagli
appellanti, volta a consentire la conservazione della pregressa anzianità nel caso di pubblico impiegato che superi un concorso pubblico.
L’art. 202 riguarda solo i passaggi di carriera nell’ambito di amministrazioni statali, e non si occupa di
conservazione dell’anzianità di servizio, ma solo di trattamento economico, sancendo solo, in ossequio al divieto di reformatio in peius, la conservazione del precedente trattamento economico se migliore del nuovo, ma solo con assegno ad personam riassorbile, e senza alcuna influenza sul livello di inquadramento.
5.5. Neppure può trovare applicazione il precedente invocato dagli appellanti (Cons. St., sez. VI, n. 2470/2007), che non si occupa in termini della questione, ma solo dei criteri di valutazione della pregressa anzianità ai limitati fini della r.i.a., e peraltro con riferimento ad una fattispecie, – il personale dipendente transitato dall’Azienda di Stato per i servizi telefonici al Ministero della difesa -, in cui il passaggio è avvenuto non per pubblico concorso, ma sulla base di una specifica disciplina normativa dettata per la mobilità dei dipendenti a seguito della soppressione di detta Azienda di Stato (art. 4, l. n. 58/1992). Non si tratta, pertanto, di vicenda in cui vi è stato superamento, da parte del dipendente pubblico, di un nuovo concorso pubblico, ma di un caso di mobilità dei dipendenti in cui la norma regolatrice ha espressamente dichiarato applicabile l’art. 200, co. 3, t.u. n. 3/1957, pur non essendovi passaggio di carriera all’interno delle amministrazioni statali (art. 4, co. 1, l. n. 58/1992).
5.6. In conclusione, è corretta la tesi affermata dalla sentenza di primo grado, secondo cui non esiste alcun principio generale che assicuri al dipendente pubblico, che superi un nuovo concorso pubblico aperto all’esterno, la conservazione della pregressa anzianità di servizio, e salvo che non vi siano espresse disposizioni normative in tal senso.
6. Per quanto esposto, l’appello va respinto.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in complessivi euro tremila. P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso in
epigrafe, lo respinge.
Spese a carico dei soccombenti nella misura complessiva di euro tremila (3.000). Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 febbraio 2009, con la partecipazione di: Giuseppe Barbagallo – Presidente
Luciano Barra Caracciolo – Consigliere
Rosanna De Nictolis – Consigliere relatore ed estensore Domenico Cafini – Consigliere
Maurizio Meschino – Consigliere
Presidente
GIUSEPPE BARBAGALLO
Consigliere
ROSANNA DE NICTOLIS
DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 16/02/2009.

REGOLARIZZAZIONE, E’ AMMESSA SOLO PER DOMANDE INCOMPLETE
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV – sentenza 6 novembre 2009 n. 6948
Nei concorsi pubblici, l’istituto dell’integrazione documentale è destinato a supplire solo a carenze della documentazione irregolare o formalmente incompleta, quindi per il semplice aspetto formale o per la rettifica della dichiarazione, la cui irregolarità attenga ad elementi non essenziali, e non anche a supplire a mancanze assolute e sostanziali della documentazione o della dichiarazione, atteso che, altrimenti, l’integrazione si risolverebbe in una violazione del fondamentale principio concorsuale della par condicio tra i concorrenti
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV – sentenza 6 novembre 2009 n. 6948
N. 06948/2009 REG.DEC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la presente
DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 2311 del 2007, proposto dal
signor Roberto Zaccone, rappresentato e difeso dall’avv. Marco Giannini, con domicilio eletto presso Giorgio Martellino in Roma, v.le Medaglie D’Oro, 419/G;
contro
il Ministero dell’Economia e delle Finanze, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
Gioacchino Guzzardo e Benito Startari; per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione II n. 01642/2006, resa tra le parti, concernente approvazione della graduatoria del concorso speciale per titoli di servizio, professionali e di cultura per il conferimento di n. 999 posti di primo Dirigente nel ruolo amministrativo.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’Economia e delle Finanze; Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relat ore nell’udienza pubblica del giorno 13 ottobre 2009 il Consigliere Armando Pozzi e udito per la parte appellata l’avvocato dello Stato Fedeli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
L’appellante, funzionario del Ministero delle Finanze ( ora Economia e Finanze ), con qualifica di Direttore Tributario, ex XI qualifica funzionale, ha partecipato al concorso speciale per titoli di servizio, professionali e di cultura bandito dall’ amministrazione con D. M. 19.1.1993, per il conferimento di n. 999 posti di primo dirigente nel ruolo amministrativo, collocandosi con punti 91,50 al 1117° posto della relativa graduatoria.
Con ricorso proposto al TAR del Lazio egli ha impugnato, per quanto di ragione, la suddetta graduatoria, contestando il punteggio assegnatogli e deducendo il vizio di eccesso di potere per errata interpretazione e falsa applicazione dell’art.2 del bando di concorso. Violazione dei principi di imparzialità e buona amministrazione.
Con sentenza n. 1642 del 22.2.2006 il Tribunale amministrativo ha respinto il ricorso.
Avverso detta sentenza propone appello l’interessato, deducendo, con unico articolato motivo, le seguenti censure, in sostanza ripetitive dei motivi dedotti in primo grado.
In particolare, l’appellante lamenta che la sentenza sarebbe errata in quanto basata sulla duplice considerazione che il candidato avrebbe omesso di indicare il titolo in suo possesso nella domanda di partecipazione e che l’art. 2 del bando avrebbe previsto I’allegazione in copia dei titoli valutabili o, in mancanza, l’indicazione di precisi ed univoci estremi di riferimento.
Secondo il Tribunale, quindi, la prescrizione in termini cogenti della indicazione dei titoli, sarebbe stata tale da non permettere la valutazione anche dei titoli in possesso dell’Amministrazione che ha indetto il concorso e, comunque, di integrare i titoli stessi successivamente, pena la violazione del principio di par condicio tra i concorrenti.
Tale assunto sarebbe errato sotto i seguenti profili:
1) il bando non sanciva espressamente alcuna decadenza per la mancata indicazione dei titoli già in possesso dell’Amministrazione, limitandosi a prescriverne la semplice indicazione;
2) esso ricorrente, a pag. 4 della sua domanda di ammissione, aveva precisato e richiamato i titoli in possesso della Amministrazione finanziaria;
3) si trattava, inoltre, di un insieme di titoli tassativamente indicati dal D.M. 11.1.1993 che la stessa
Amministrazione aveva emanato;
4) si trattava di un titolo che l’Amministrazione stessa aveva formato, e cioè la partecipazione alla Commissione di Sorveglianza sugli Archivi dell’Ufficio del Registro e Conservatoria di Sarzana;
5) l’art. 2 lett. e del bando avrebbe potuto essere interpretato nel senso che per i titoli in possesso dell’Amministrazione fosse sufficiente anche soltanto un richiamo generico, dovendo invece essere fatta l’indicazione specifica degli atri titoli, per i quali l’inoltro della prescritta documentazione assolveva ad una funzione essenziale per la loro ricognizione.
Osserva ancora l’appellante che la mera interpretazione letterale del bando data dal Tribunale di primo grado, pur richiamandosi il principio di parità di trattamento, non appare condivisibile alla luce della più recente giurisprudenza, la quale ha più volte sottolineato, come regola generale, che sebbene il bando costituisca la lex specialis del concorso, ciò non toglie che le norme c.d. autoesecutive, quali l’art. 18 della legge n. 241/90, devono essere applicate quando ne ricorrano i presupposti, ancorché non specificamente richiamate.
Si è costituita in giudizio l’amministrazione finanziaria per contestare con memoria la fondatezza dell’appello. Alla pubblica udienza del 13 ottobre 2009 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO

1 – Con l’atto d’appello l’interessato torna a proporre quanto già lamentato innanzi al TAR, cioè che la Commissione esaminatrice, in contrasto con quanto previsto dall’art. 2 del bando di concorso, non gli avrebbe valutato l’incarico, espletato dal 1° gennaio 1977 al 31 dicembre 1992, di membro della Commissione di Sorveglianza sugli Archivi dell’Ufficio del Registro e della Conservatoria dei Registri Immobiliari di Sarzana, così negandogli il punteggio corrispondente al titolo posseduto ed un utile collocamento nella graduatoria.
2 – In vi a preliminare e generale, va osservato che il bando prescriveva chiaramente e tassativamente che le domande di partecipazione al concorso dovevano indicare ed elencare i titoli valutabili ” mediante precisi ed univoci estremi di riferimento “. Lo stesso articolo 2 del bando aggiungeva che i titoli ” dovranno essere allegati in originale o copia autentica, qualora non siano in possesso dell’amministrazione “.
La richiamata disposizione concorsuale prescriveva quindi due precisi e distinti oneri formali (e non “formalistici”, in quanto preordinati ad assicurare i fondamentali principi concorsuali di celerità, economicità ed imparzialità): quello dell’indicazione minuziosa, contenutisticamente completa, chiara ed esaustiva, del titolo, ovvero, in alternativa, quello dell’allegazione informale e quello dell’allegazione dei titoli non posseduti dall’amministrazione.
In base al combinato disposto delle due previsioni occorreva dunque che il candidato indicasse nella domanda tutti i titoli vantati, compresi quelli già in possesso dell’amministrazione interessata al concorso.
Quella prescrizione non appare in contrasto con il principio pur fondamentale di non aggravamento del
procedimento amministrativo, enunciato nell’articolo 1, comma 2, della legge n. 241 del 1990 e specificato in altre disposizioni particolari della stessa legge n. 241, quali l’articolo 2, comma 4, 18, comma 2 e 19, comma
2. Anche il d. lgs. n. 165/2001 ha rafforzato il principio funzionale di non aggravamento con quello
organizzativo di collegamento, comunicazione interna ed esterna ed interconnessione tra amministrazioni pubbliche, di cui all’articolo 2, comma 1, del citato decreto legislativo.
3 – Il principio di non aggravamento – pur costituendo la base di civiltà giuridica dell’agire di una qualsiasi
amministrazione moderna e democratica – deve tuttavia essere correlato agli altri principi procedimentali anch’essi correlati ai valori costituzionali di cui agli artt. 97 e 98 Cost.: buon andamento e dedizione non ad astratti e fumosi ” interessi generali ” ma a quelli specifici della Nazione, cioè ai bisogni ed interessi concreti di tutti i componenti la collettività nazionale.
Fra i principi fondamentali che caratterizzano ulteriormente il procedimento amministrativo in generale ivi compreso quello concorsuale vi sono quelli della efficienza, efficacia, celerità ed economicità: art. 1, comma 1, legge n. 241 del 1990; art. 35, comma 3, lettera a) del d. lgs. n. 165/2001.
Tutti i predetti principi concorrono dunque ad assicurare un procedimento che sia rispettoso, al contempo, della dignità del cittadino a non subire richieste vessatorie, defatigatorie, ed inutili da parte dei pubblici uffici e dell’interesse (privato degli altri candidati e pubblico dell’amministrazione) alla conclusione del procedimento concorsuale in termini ragionevoli e con risultati efficaci.
La pretesa contenuta nel bando di indicare con esaustiva precisione anche i titoli posseduti dall’amministrazione (o, in alternativa, di allegarli seppure senza gravose formalità, come invece richiesto per quelli non già in possesso della p.a.) si manifesta conforme ai predetti principi, consentendo all’amministrazione stessa di procedere agevolmente e rapidamente alla ricerca dei titoli in suo possesso, soprattutto quando si tratti, come nel caso di specie, di amministrazione strutturalmente complessa ed articolata in una molteplicità di uffici distinti territorialmente e funzionalmente e quando la procedura concorsuale comporti l’attribuzione di un elevato numero di posti dirigenziali ed una elevata partecipazione di candidati, con conseguente mole documentale da acquisire e valutare.
4 – Quanto al requisito della esaustività delle indicazioni dei titoli, esso comporta che il candidato proceda ad un’elencazione completa e significativa dei titoli stessi, sempre per soddisfare quel principio di economicità e celerità di cui s’è poc’anzi detto. Quando il bando usa pertanto termini stringenti e limpidi, quali ” precisi e univoci ” non basta per soddisfare quella richiesta dichiarare la frequenza di un corso, l’assolvimento di un incarico, il conseguimento di un diploma o una laurea, indicandone solo data e titolo, ma occorre precisare altresì l’ente organizzatore, il luogo di svolgimento, le caratteristiche sostanziali del titolo medesimo ( ad es., per un corso di formazione, se con voto finale o meno ), gli attestati di frequenza, ecc..
5 – Quanto alla presunta violazione del principio di autocertificazione dei titoli invocato attraverso il richiamo all’articolo 18 della legge n. 241 del 1990, esso non giova in alcun modo a sostenere le ragioni dell’appellante.
In primo luogo è da osservare, in via generale, che non è contestabile che possano essere “comprovati con dichiarazioni, anche contestuali all’istanza, sottoscritte dall’interessato e prodotte in sostituzione delle normali certificazioni ” anche i seguenti fatti e circostante: qualifica professionale posseduta, titolo di specializzazione, di abilitazione, di formazione, di aggiornamento e di qualificazione tecnica “, ai sensi dell’articolo 46 del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, emanato con il D.P.R. 28-12-2000, n. 445.
Analogamente a dirsi per le dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà, di cui al successivo articolo 47 dello stesso Testo unico.

Tuttavia, occorre ricordare che per giurisprudenza costante, la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà ha attitudine certificativa e probatoria fondata sull’istituto della presunzione semplice, cioè fino a cont raria risultanza, nei confronti della Pubblica Amministrazione e nei procedimenti amministrativi in cui la stessa viene inserita (cfr. Cass. Civ. Sezioni Unite, 14 ottobre 1998, n. 10153; Sez. Lav., 25 luglio 2002, n. 10981;
14 aprile 2001, n. 5594; sez. III, 16 maggio 2001, n. 6742; 16 gennaio 1996, n. 298). Inoltre, quella efficacia probatoria cessa nell’ambito del processo, dove tutte le parti possono fornire al giudice prova contraria a quanto attestato nella dichiarazione sostitutiva ( Cass., sez. lavo ro, 11-07-2007, n. 15486; Consiglio Stato , sez. IV, 24 febbraio 2000 , n. 1010 ).
Neppure va dimenticato che le autodichiarazioni del privato concernono soltanto “stati, qualità personali e fatti “, cioè dati oggettivi e non opinabili, e pertanto non hanno effetto alcuno sulle loro qualificazioni variamente configurate e rilevanti nell’ambito dei diversi procedimenti amministrativi.
6 – Ma, al di là e prima di queste considerazioni generali, è da osservare che il predetto principio di autodichiarazione non assiste il motivo d’appello in esame, anzitutto in punto di mero fatto.
Come esattamente rilevato nell’appellata sentenza, l’odierno appellante aveva omesso del tutto di indicare il titolo controverso nella domanda di partecipazione.
In tale contesto, quindi, la mancata valutazione del titolo de quo risulta conforme all’univoca disposizione nel bando, che nel prescrivere in termini chiari e cogenti (la cogenza sta nell’uso del verbo servile dovere: “dovrà essere indicata”) l’indicazione dei titoli in sede di domanda di partecipazione, esclude necessariamente qualsiasi produzione dei titoli stessi successivamente al termine di presentazione della domanda. Infatti una eventuale produzione successiva verrebbe a costituire una sorta di integrazione sostanziale della domanda, che sarebbe in evidente contrasto rispetto al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui l’istituto dell’integrazione documentale è destinato a supplire solo a carenze della documentazione irregolare o formalmente incompleta, quindi per il semplice aspetto formale o per la rettifica della dichiarazione, la cui irregolarità attenga ad elementi non essenziali, e non anche a supplire a mancanze assolute e sostanziali della documentazione o della dichiarazione, atteso che, altrimenti, l’integrazione si risolverebbe in una violazione del fondamentale principio concorsuale della par condicio tra i concorrenti (Cons. Stato, sez. VI, 29 aprile 2009, n. 2710 ; sez. IV, 15 novembre 2004 n. 7469 e 26 maggio 2003 n. 2808 ; Sez. V, 30 marzo
1988 n. 179).
7 – In conclusione l’appello va respinto.
Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso in appello indicato in epigrafe:
– respinge l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata;
– condanna parte appellante al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi millecinquecento euro (€ 1.500,00).
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 ottobre 2009 con l’intervento dei Signori: Luigi Cossu, Presidente
Luigi Maruotti, Consigliere Goffredo Zaccardi, Consigliere
Armando Pozzi, Consigliere, Estensore
Anna Leoni, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 06/11/2009.

EQUIPOLLENZA DEL TITOLO, DEVE ESSERE PREVISTA DALLA LEGGE
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V – sentenza 17 febbraio 2009 n. 865
E’ legittimo il provvedimento di esclusione di un soggetto da un concorso pubblico per l’assunzione alle dipendenze della P.A., motivato con riferimento al difetto del possesso del titolo di studio espressamente richiesto dalla lex specialis, nel caso in cui non esista alcuna legge od alcun provvedimento amministrativo a carattere generale che abbia sancito la equipollenza del diploma di laurea richiesto dal bando, con quello effettivamente posseduto dal soggetto escluso dal concorso (nella specie, l’interessato era in possesso della laurea in matematica con indirizzo numerico, mentre il bando di selezione richiedeva espressamente e alternativamente, ai fini della partecipazione, la laurea in informatica, fisica ed ingegneria informatica).
N. 865/09 REG.DEC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ha pronunciato la seguente
DECISIONE

sul ricorso in appello n. 621/06, proposto dalla dott.ssa Rosanna Persico, rappresentata e difesa in giudizio dagli avv.ti Maurizio Russo e Antonella Persico ed elettivamente domiciliata in Roma presso lo studio di tale ultimo difensore al Corso di Francia 178;
contro
la Regione Campania, in persona del Presidente della Giunta e legale rappresentante pt, rappresentata e difesa in giudizio dall’avv. Vincenzo Baroni dell’avvocatura regionale ed elettivamente domiciliata in Roma alla via Poli 29 presso l’ufficio di rappresentanza della predetta avvocatura;
nonché contro
la Commissione del Concorso pubblico, per esami, per la copertura di n. 8 posti di Dirigente informatico presso la Regione Campania, indetto con decreti dirigenziali nn. 14555 del 19.12.2002 e 14678 del 27.12.2002, in persona del presidente e legale rappresentante pt, nc;
e nei confronti
di Crescitelli Maria Pia, rappresentata e difesa in giudizio dall’avv. prof. Enrico Bonelli ed elettivamente domiciliata in Roma, Via Dionigi n. 57 ( presso lo studio dell’avv. Claudia de Curtis);
D’Angelo Giuseppe, rappresentato e difeso in giudizio dall’avv. Giancarlo Violante ed elettivamente
domiciliato in Roma alla via Portuense 104 ( presso lo studio della Signora A De Angelis); per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, n. 18698/05 del 8.11.2005
con la quale è stato respinto il ricorso proposto da essa ricorrente per l’annullamento del decreto dirigenziale
n. 3070 del 3.10.2003, nella parte in cui con lo stesso è stata disposta la sua esclusione dal concorso a 8 posti di dirigente informatico per carenza del requisito afferente il titolo di studio, di cui all’art. 2 lett. b) del bando;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Campania;
Viste le memorie prodotte dalle parti intimate a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 5 dicembre 2008 il consigliere Giulio Castriota Scanderbeg e uditi, altresì,
per le parti, gli avv.ti Russo, Panariello per delega dell’avv. Baroni, Bonelli e Violante; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue
FATTO e DIRITTO
1. Con la sentenza in epigrafe è stato rigettato il ricorso proposto in primo grado dall’odierna appellante avverso il decreto dirigenziale n. 3079/03, recante la sua esclusione dal concorso a otto posti di dirigente informatico, bandito dalla Regione Campania con decreti dirigenziali nn. 14555 del 19.12.2002 e 14678 del 27.12.2002.
2. Deduce l’appellante, riproponendo questioni già sollevate in primo grado, che il titolo di studio in suo possesso ( diploma di laurea in matematica con indirizzo numerico) avrebbe dovuto legittimarla alla partecipazione al concorso de quo, attesa la assoluta equipollenza di detto titolo con quelli espressamente contemplati nel bando ( informatica, fisica ed ingegneria informatica).
Di qui i motivi di censura avverso la sentenza reiettiva di prime cure e, in via mediata, avverso la esclusione dalla selezione, motivi articolati essenzialmente sotto i profili della violazione dell’art. 7 della L. 241/90, per aver l’amministrazione regionale omesso la dovuta comunicazione d’avvio del procedimento finalizzato alla esclusione dal concorso della ricorrente, nonché della disparità di trattamento rispetto ad altra situazione similare e da ultimo per contraddittorietà manifesta della determinazione di esclusione, in rapporto alle opportunità insite alla naturale progressione di carriera della ricorrente, anche in considerazione della esperienza lavorativa pregressa richiesta ai fini concorsuali e dei titoli di studio legittimanti detta esperienza. 3.Si è costituita in giudizio la Regione Campania per resistere al ricorso e per chiederne il rigetto. Si sono altresì costituite per contrastare il gravame le altre parti controinteressate ( Crescitelli e D’Angelo) intervenute nel giudizio di primo grado.
4. All’udienza del 5 dicembre 2008 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
5. L’appello è infondato e va respinto.
5.1 La questione centrale involge il tema della legittimità della esclusione da un pubblico concorso di soggetti sforniti di uno dei titoli di studio alternativamente richiesti dal bando ai fini della ammissione alla selezione, ma in possesso cionondimeno di un titolo ritenuto agli stessi equipollenti, in ragione del contenuto del relativo cursus studiorum.
Nello specifico, la ricorrente, titolare di laurea in matematica con indirizzo numerico, si duole della pretesa illegittimità della sua esclusione dal concorso di che trattasi, per la cui ammissione il bando (all’art. 2 lett. b)) richiedeva alternativamente il possesso del diploma di laurea in informatica, in fisica ed in ingegneria con indirizzo informatico. Premessa la ritenuta equipollenza del titolo in suo possesso rispetto a quelli espressamente previsti dal bando selettivo, anche a giudicare dalle assimilazioni operate da distinte disposizioni normative, la ricorrente contesta la decisione dei giudici di prime cure che, nel confermare la legittimità della gravata determinazione di esclusione, hanno assunto la inesistenza di una equipollenza

formale fra gli indicati titoli di studio, a nulla rilevando la pretesa equiparazione di fatto prospettata dalla parte ricorrente.
5.2 La censura non risulta fondata.
Il Collegio è persuaso, sulla scorta di consolidata giurisprudenza di tal segno che la equipollenza tra titoli di studio evoca un’operazione formale conseguente ad un procedimento amministrativo finalizzato ad acclarare che, a determinati fini, può assumersi l’ analoga portata abilitante di più titoli tra loro omogenei.
Vero è pertanto, come correttamente evidenziato dal giudice di prime cure, che il bando di concorso, laddove richiede il possesso di taluni specifici titoli per la partecipazione alla selezione, deve ritenersi integrato anche dalla implicita previsione in ordine al carattere abilitante di quei titoli che, seppur non contemplati nell’atto indittivo, hanno formato oggetto di declaratoria di equipollenza all’esito di un procedimento a ciò preordinato. Ma proprio la fondatezza di tale rilievo, svuota di consistenza la pretesa della appellante a vedersi riconoscere, ai fini della partecipazione al concorso di che trattasi, il carattere abilitante del titolo in suo possesso. Nella specie è infatti pacifico, come ha ben messo in luce il Tar nella gravata pronuncia, che non esiste alcun provvedimento amministrativo a carattere generale che abbia sancito la equipollenza, ai fini dell’accesso a posti di pubblico impiego alle dipendenze delle amministrazioni, della laurea in matematica (in possesso dell’appellante) rispetto a quelle ( dianzi indicate) richieste alternativamente dal bando di gara per la partecipazione alla selezione per cui è causa.
5.3 Non giova al proposito alla ricorrente il riferimento al DM del Ministro della Pubblica Istruzione del 30 gennaio 1998 che ricomprende tra i titoli di ammissione al concorso per la cattedra di informatica ( 42/A) le lauree in matematica, fisica, informatica, discipline nautiche nonché varie tipologie di lauree in ingegneria. E’ evidente, infatti, che si tratta di disciplina di settore, volta alla individuazione dei titoli che danno accesso ai concorsi a cattedra per l’insegnamento, nelle scuole secondarie, delle materie rientranti nella prefata classe concorsuale, come tale non suscettibile di trovare applicazione fuori dagli ambiti propri cui la stessa è preordinata a regolare.
5.4 Per lo stesso ordine di considerazioni, non sono utili a diversamente opinare i riferimenti offerti dall’appellante al DPR 10.12.1997 n. 483 ( recante la disciplina concorsuale per il personale dirigenziale del Servizio sanitario nazionale) nella parte in cui detto Regolamento ( art. 66), ai fini della ammissione al concorso per la posizione funzionale di dirigente analista, richiede in via alternativa, tra gli altri titoli, il diploma di laurea in informatica, in statistica, in matematica, in fisica, in ingegneria etc. Rispetto al caso all’esame, si tratta di distinto profilo professionale in un settore ben diverso ( afferendo -come detto- alla disciplina del personale dirigenziale del servizio sanitario nazionale) da quello che forma oggetto della presente controversia ( riguardante un concorso per dirigenti informatici del ruolo regionale). Di tal che non sarebbe corretta la conclusione per cui la prospettata assimilazione dei titoli prevista nell’ambito del servizio sanitario, confermativa al più di una indubitabile affinità tra gli stessi, possa assumere una valenza erga omnes al punto da condurre a ritenere di per sè irragionevole una scelta discrezionale diversa, compiuta da una distinta amministrazione in sede di procedura selettiva per la copertura di posti afferenti a profili professionali non assimilabili a quelli dei dirigenti medici.
5.5 Piuttosto è significativo, in senso ostativo all’accoglimento della pretesa di parte ricorrente, che il Consiglio Universitario Nazionale ( organo consultivo del Ministero della università e della Ricerca), investito della questione della equipollenza della laurea in Matematica alle lauree in Ingegneria informatica, Informatica e Fisica ai fini della partecipazione al concorso di che trattasi abbia espresso parere negativo sul rilievo della << notevole diversità dei percorsi formativi in questione>>. Senza assumere portata dirimente ai fini del decidere, tali conclusioni certamente confortano nel senso di ritenere non irragionevole la scelta della amministrazione regionale di non estendere ai laureati in matematica l’accesso al concorso per dirigente informatico, nell’ambito della procedura selettiva per cui è giudizio.
6. Né merita di essere scrutinato favorevolmente il distinto motivo di gravame col quale parte ricorrente ha lamentato la disparità di trattamento insita nella decisione recante la propria esclusione rispetto a quella assunta nei riguardi di altri soggetti, ammessi al concorso pur in carenza del titolo specifico richiesto dal bando. Il riferimento, in particolare, è alla sentenza n. 18703/05 del medesimo Tar campano, con la quale è stato annullato, con conseguente riammissione alla selezione, il provvedimento di esclusione dallo stesso concorso sancito in danno di altro candidato in possesso di laurea in ingegneria elettronica ( non prevista dal bando).
6.1 In disparte il profilo della non completa assimilabilità delle distinte situazioni sostanziali dedotte ( in ragione del diverso titolo di studio in possesso della ricorrente rispetto al diploma in titolarità del candidato vittorioso nel grado di giudizio conclusosi con la richiamata decisione ) e comunque della inesistenza di un vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento predicabile all’indirizzo dell’azione amministrativa (dato che anche in quel caso l’amministrazione aveva originariamente decretato la esclusione del candidato dalla selezione), gli è, in senso ancor più dirimente, che il TAR in quella sentenza ha valorizzato – qui non importa se a torto o a ragione – la equipollenza dei titoli di studio in predicato, sulla base di una specifica fonte normativa, che risulta pacificamente inapplicabile nel caso all’esame ( il riferimento è all’art. 47 DPR 5 giugno 2001 n. 328, dettata ai fini dell’ammissione all’esame di Stato per l’accesso all’albo degli ingegneri).

7. Né appare dirimente il rilievo secondo cui, a seguire la interpretazione restrittiva in tema di equipollenza dei titoli abilitanti all’accesso ai pubblichi impieghi, la ricorrente si vedrebbe privata del naturale sviluppo di carriera, atteso che è l’amministrazione che bandisce la selezione ad individuare, in coerenza con la natura dei posti messi a concorso e con le cognizioni professionali richieste in capo ai soggetti chiamati a coprirli, i titoli di studio che abilitano i candidati a parteciparvi. Di tal che risulta aprioristica e priva di riscontri l’affermazione secondo cui i soggetti titolari di diploma di laurea in matematica con indirizzo numerico, fra i quali la stessa ricorrente, saranno definitivamente esclusi anche da successive e diverse selezioni, bandite dalla Regione Campania o da altri enti pubblici, per la copertura di posti propri dell’area dirigenziale.
8. Da ultimo non appare fondata, ad avviso del Collegio, la censura afferente la obliterazione degli obblighi di
partecipazione dell’avvio del procedimento in rapporto alla contestata determinazione di esclusione della ricorrente dalla selezione. E’ noto, infatti, che in materia di concorsi finalizzati all’accesso a posti di pubblico impiego la esclusione del candidato dal concorso, per mancanza dei requisiti previsti dal bando, non è normalmente provvedimento che consegue ad un sub-procedimento avente connotati di autonomia e specialità rispetto all’unico procedimento concorsuale finalizzato alla selezione dei vincitori; di tal chè non è configurabile di norma un autonomo incombente partecipativo a carico della amministrazione procedente. Ogni candidato infatti deve fin dall’inizio (e cioè dalla proposizione della domanda di partecipazione) ritenersi edotto del fatto che, fino alla pubblicazione della graduatoria finale, l’amministrazione – salvo il caso che abbia espressamente scrutinato in apposita fase endoprocedimentale l’ammissibilità o la non ammissibilità delle domanda di partecipazione e ne abbia comunicato gli esiti ai soggetti interessati – si riserva sempre la facoltà di verificare in capo a ciascun candidato il possesso dei requisiti previsti nel bando. Pertanto, anche l’eventuale evoluzione del procedimento selettivo verso la fase delle prove d’esame, e financo il superamento delle stesse da parte del candidato, non è di per sé sintomatica del positivo scrutinio dei requisiti di ammissione, operazione che può essere postergata – come già detto – fino all’approvazione della graduatoria.
Da tanto discende che nella specie nessun onere di comunicazione di avvio del procedimento poteva profilarsi, ex art. 7 L. 241/90, in relazione alla esclusione della ricorrente dalla selezione per la riscontrata carenza di un requisito partecipativo ( cfr., in tal senso, Consiglio di Stato, sez. VI, 9 aprile 2001, n. 2151; sez. IV, 30 maggio 2005, n. 2762; sez. V, 23 ottobre 2007, n. 5564).
8.1 Peraltro, a far velo all’annullamento dell’atto gravato in primo grado nella specie indurrebbe, a fronte della chiara previsione contenuta nel bando in punto di titoli abilitanti alla partecipazione, la natura vincolata dell’atto di esclusione, avuto riguardo agli effetti conservativi imposti dall’art. 21 octies della L. 241/90, nonché alla stessa dimostrata incapacità della ricorrente, anche ove coinvolta in sede procedimentale, di incidere sul contenuto dispositivo dell’atto finale.
9. Il rigetto nel merito della pretesa azionata dalla ricorrente in primo grado, con la consequenziale conferma della sentenza impugnata, giustifica l’assorbimento, anche in questa fase di gravame, della questione processuale inerente la dedotta inammissibilità del ricorso di prime cure, sollevata sotto il profilo della la sua omessa notifica ad almeno uno dei soggetti controinteressati (e della conseguente pretesa violazione dell’art. 21 L. TAR.).
10. Le spese di lite, anche per questo grado di giudizio, possono essere compensate tra le parti, in considerazione della particolare materia trattata.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo rigetta e per l’effetto conferma la impugnata sentenza.
Spese compensate.
Così deciso a Roma, in Palazzo Spada, nella camera di consiglio del 5 dicembre 2008, con l’intervento dei Signori magistrati:
Raffaele Iannotta Presidente Vito Poli Consigliere Gabriele Carlotti Consigliere
Giancarlo Giambartolomei Consigliere
Giulio Castriota Scanderbeg Consigliere est. L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
f.to Giulio Castrista Scanderbeg f.to Raffaele Iannotta DEPOSITATA IN SEGRETERIA 17/02/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
P. Il Direttore della Sezione Livia Patroni Griffi

CONCORRENTE CHE SI AUTO CITA NEL COMPITO, VA ESCLUSO
TAR CALABRIA – REGGIO CALABRIA, SEZ. I – sentenza 9 marzo 2009 n. 138

Nel caso in cui, nella prova scritta di un concorso pubblico, il candidato si sia autocitato, facendo riferimento ad una propria pubblicazione, redatta in collaborazione con terzi, deve ritenersi violata la regola cardine dell’anonimato delle prove scritte dei pubblici concorsi, in quanto nell’ipotesi in cui l’elaborato contiene il nome del suo autore, l’anonimato è all’evidenza e indiscutibilmente violato, con conseguente necessità di annullare la prova.
N. 00138/2009 REG.SEN.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria
ha pronunciato la presente SENTENZA
ex art. 21 e 26 della legge 1034/71 e successive modifiche e integrazioni, Sul ricorso numero di registro generale 60 del 2009, proposto da:
Riccardo Piscopo, rappresentato e difeso dagli avv. Attilio Cotroneo e Domenico Polimeni, con domicilio
eletto presso Domenico Polimeni Avv. in Reggio Calabria, via D. Muratori n. 45
contro
Università degli Studi di Reggio Calabria, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, domiciliata per legge in Reggio Calabria, via del Plebiscito, 15
nei confronti di
Alessandra Romolo, rappresentata e difesa dagli Avv. Francesco Del Grande e Alberto Panuccio, con domicilio eletto presso Francesco Del Grande Avv. in Reggio Calabria, Via Paolo Pellicano, n.45
per l’annullamento
previa sospensione dell’efficacia,
del decreto n. 421 del 03.12.2008 emesso dal Rettore dell’Università degli Studi “Mediterranea” di Reggio Calabria con cui sono stati approvati gli atti del concorso per titoli ed esami a n. 1 posti di
ricercatore universitario presso la Facoltà di Ingegneria per il settore scientifico – disciplinare ICAR/02
“Costruzioni idrauliche e marittime e idrologia” e con cui è stato dichiarato vincitore del predetto concorso la dott.ssa Romolo Alessandra, nata a Reggio Calabria il 26.04.1977;
2. del decreto rettorale n. 462 del 23.12.2008 di nomina a ricercatore universitario della dott.ssa Romolo
Alessandra;
3. del verbale n. 6 della riunione della commissione esaminatrice del 6 novembre 2008 e dei relativi allegati nella parte in cui non ha proceduto all’esclusione della candidata Romolo Alessandra;
4. del verbale n. 7 della riunione della commissione esaminatrice del 6 novembre 2008 e della relazione finale con relativi allegati nella parte in cui viene indicata quale vincitore del concorso la candidata Romolo Alessandra;
in via gradata
5. del verbale n. 2 della riunione della commissione esaminatrice del 5 novembre 2008 nella parte in cui non sono stati valutati alcuni titoli presentati dal ricorrente ed è stato invece valutato un titolo presentato dalla candidata Romolo Alessandra e non ancora conseguito
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Università degli Studi di Reggio Calabria; Visto l’atto di costituzione in giudizio ed il ricorso incidentale di Alessandra Romolo; Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 25/02/2009 il dott. Caterina Criscenti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Avvisate le stesse parti ai sensi dell’art. 21 decimo comma della legge n. 1034/71, introdotto dalla legge n. 205/2000;
1. Con ricorso notificato in data 28 gennaio 2009 e ritualmente depositato l’ing. Riccardo Piscopo, premesso di aver partecipato alla procedura di valutazione comparativa in oggetto, riportando i seguenti giudizi I) di livello buono l’attività documentata dal candidato nel curriculum, nei titoli e nelle dieci pubblicazioni presentate; II) discreta la prima prova scritta; III) buona la seconda prova scritta; IV) ottima la prova orale, impugnava gli atti in epigrafe indicati e ne chiedeva l’annullamento, previa loro sospensione, deducendo due autonomi motivi di illegittimità.
Si costituiva l’amministrazione universitaria, producendo relazione del 10 febbraio 2009 del Direttore amministrativo e del Capo servizio affari legali e documentazione afferente al concorso
Alla camera di consiglio del 25 febbraio 2009, fissata per la trattazione della domanda cautelare, si costituiva
la controinteressata Dott. Romolo. Depositava anche ricorso incidentale già consegnato per la notificazione. Avvisate dal Collegio tutte le parti costituite della possibilità di una definizione nel merito della controversia, queste nulla obiettavano ed anzi la difesa del Piscopo – che già in ricorso aveva pure sollecitato il Tribunale all’adozione di una sentenza succintamente motivata – espressamente accettava il contraddittorio in ordine al ricorso incidentale, così rinunciando al termine per la difesa..

2. Il ricorso principale è manifestamente fondato.
2.1. Col primo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 13 e 14 DPR 9 maggio 1994 n. 487 e dell’art. 7 DPR 3 maggio 1957 n. 686 ed eccesso di potere per manifesta illogicità.
Sostiene che le prove scritte della candidata Romolo dovevano essere annullate in quanto nella redazione della prima prova scritta (contrassegnata col 2A) ella si è autocitata, rendendo così riconoscibile il suo elaborato. A pag. 21 della prova in questione è scritto, infatti, “Una legge di distribuzione biparametrica per le creste d’onda nel caso di onde che interagiscono con una parete perfettamente riflettente (capo di moto in riflessione), che tenga conto degli effetti di 2° ordine, è stata ricavata da Romolo e Arena”.
L’autocitazione fa riferimento ad una pubblicazione redatta dalla stessa candidata in collaborazione, con il prof. Arena, presidente della commissione esaminatrice, pubblicazione che è stata anche inserita dalla candidata fra i titoli presentati e valutati dalla commissione. Si tratta della pubblicazione n. 3 dell’elenco, i cui autori sono appunto Romolo e Arena.
Non v’è dubbio che tale fatto ha dato luogo ad una palese ed insuperabile violazione del principio dell’anonimato fissato dagli artt. 7 DPR n. 686/57 e 14 DPR n. 487/94 (“Il candidato, dopo aver svolto il tema, senza apporvi sottoscrizione, né altro contrassegno … Il riconoscimento deve essere fatto a conclusione dell’esame e del giudizio di tutti gli elaborati dei concorrenti”) posto a garanzia del più generale principio di imparzialità sancito dall’art. 97 della Costituzione e da ritenere valevole anche per questa tipologia di concorsi. Giova subito premettere che la normativa regolamentare, invocata dal ricorrente, contenuta in origine nel D.P.R. del 1957 e poi pedissequamente riprodotta nel D.P.R. del 1994 – seppure riferita alle modalità di svolgimento dei concorsi per l’assunzione nei pubblici impieghi e non anche alle modalità di espletamento delle procedure per il reclutamento dei professori universitari di ruolo e dei ricercatori espressamente disciplinate dal DPR 23 marzo 2000 n. 117 – deve intendersi applicabile, quantomeno per i profili che qui interessano, anche alle procedure di valutazione comparativa, come quella in esame, in quanto essa rappresenta in sostanza l’applicazione di ineludibili regole generali, di rilievo costituzionale, in materia di trasparenza e di imparzialità dell’azione amministrativa (in termini Tar Perugia, 21 maggio 2008 n. 193, confermata da Cons. St., VI, 9 febbraio 2009 n. 734 e già Corte Conti, sez. contr.,
17 novembre 1988 n. 2020). Essa è, peraltro, espressamente richiamata anche nel D.R. n. 73 del 26 febbraio 2008 di indizione del concorso in questione (“VISTO il D.P.R. 9 Maggio 1994, n. 487, e successive modificazioni ed integrazioni, recante norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni, ed in particolare le disposizioni in materia di procedura generale, per lo svolgimento dei concorsi unici, e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi, e di trasparenza dell’azione amministrativa”).
2.2. Ciò chiarito va detto che il Collegio condivide il pacifico orientamento giurisprudenziale richiamato dalla controinteressata, in base al quale nei concorsi pubblici la regola dell’anonimato degli elaborati scritti non può essere intesa in modo assoluto, tale da comportare l’invalidità delle prove ogni qualvolta sussista un’astratta possibilità di riconoscimento, necessitando, invece, l’esistenza di elementi atti a comprovare in modo inequivoco che trattassi di segni di riconoscimento, per cui l’idoneità dei segni a fungere da elemento di identificazione del candidato deve ravvisarsi soltanto laddove gli stessi assumano un carattere oggettivamente anomalo rispetto alle ordinarie manifestazioni del pensiero (cfr., fra le tante, Tar Catanzaro, II, 10 giugno 2008 n. 642; Tar Potenza, 11 luglio 2007 n. 489).
E’ vero però che tali puntualizzazioni sono sicuramente riferibili all’ipotesi di segni o elementi non univoci, quali comunemente l’uso di penne con inchiostro diverso o di anomale grafie, la numerazione dei fogli, la presenza di diciture come “brutta copia” o similari, ma non all’ipotesi in cui l’elaborato contiene il nome del suo autore, perché in tal caso l’anonimato è all’evidenza e indiscutibilmente violato.
La controinteressata aggiunge che le citazioni in campo scientifico, improntato al principio della verificabilità del risultato, sono indispensabili, tanto che anche il ricorrente se ne è avvalso nelle sue prove scritte.
Tale affermazione – sicuramente valevole per l’attività scientifica, ma non necessariamente per le prove di un concorso – non supera in ogni caso il dato formale che l’elaborato contiene un riferimento espresso e nominativo ad un lavoro svolto dalla candidata unitamente al Prof. Arena, presidente della Commissione d’esame, dato che rende l’elaborato indiscutibilmente attribuibile alla candidata Romolo in chiara violazione della regola dell’anonimato.
Se il riferimento al lavoro in questione, per la sua rilevanza in materia, era imprescindibile, come si riferisce nel controricorso essere stato affermato da parte del Prof. Boccotti, decano della materia e referente della scuola di ingegneria marittima di Reggio Calabria, sarebbe stata comunque sufficiente la citazione del risultato, senza l’espresso riferimento bibliografico (vd. sull’equivalenza di queste tipologie di citazione pag. 5 dello stesso controricorso).
D’altronde il fatto, attestato dal Prof. Frega, che la legge elaborata dal Prof. Arena e della Dott. Romolo “ha ricevuto la necessaria diffusione in campo scientifico e che quindi può essere citata da qualsiasi studioso della materia ivi compresi, ovviamente, altri candidati” prova troppo in un concorso che ha visto la partecipazione di un solo altro candidato, oltre alla Romolo.
2.3. Deve poi evidenziarsi che la regola dell’anonimato non può che essere opportunamente calibrata in relazione alla tipologia di concorso ed al numero di candidati che vi prendono parte.

In una selezione come quella in esame dove i candidati operano nella medesima comunità scientifica, spesso con collaborazioni e pubblicazioni svolte insieme a componenti della commissione d’esame, e dove partecipano pochi candidati (qui solo due), la capacità di alcuni dati di rendere riconoscibile l’autore della prova diviene senz’altro maggiore rispetto a qualunque altro concorso al quale partecipa un elevato numero di concorrenti.
Come è stato già significativamente osservato, la previsione di un largo margine di discrezionalità alle commissioni esaminatrici nei concorsi universitari deve essere controbilanciata “da un maggior onere di garanzie formali da parte dell’amministrazione procedente: in considerazione della ampia discrezionalità di cui sono attributarie le commissioni di tali concorsi, in cui non vi sono punteggi, e non vi è alcuna possibilità di un automatico riscontro della legittimità dell’operato della commissione, deve essere inteso in maniera più rigorosa il principio dell’anonimato degli elaborati scritti” (Tar Napoli, II, 4 dicembre 2006 n. 10355).
Sicché, in altri termini, o si giunge ad affermare che la regola dell’anonimato non opera affatto perché è un concorso nel quale i candidati sono direttamente noti ai membri della Commissione e i loro elaborati sempre perfettamente riconoscibili, affermazione che, oltre a rendere in radice superfluo lo stesso concorso, è giuridicamente superata dai rilievi già svolti (§ 2.1.), o al contrario si deve valutare con maggior scrupolo e rigore la presenza di dati identificativi, come fatto ad esempio dall’Università di Milano in un caso di autocitazione similare a quello di cui si controverte (richiamato a pag. 5 del ricorso) o come statuito dalla giurisprudenza, con riguardo ad esempio al numero dei fogli aggiuntivi da consegnare ai candidati in numero perfettamente uguale (cfr. Tar Napoli, II, 15 giugno 2007 n. 6197), che ovviamente in altra tipologia di concorso sarebbe stato del tutto insignificante
2.4. In conclusione, l’autocitazione operata dalla candidata Romolo avrebbe dovuto indurre la Commissione a imporre l’esclusione della medesima dalla procedura concorsuale e, dunque, gli atti impugnati devono tutti essere annullati, senza valutazione del secondo motivo di ricorso, in quanto formulato solo in via gradata.
3. Stante la fondatezza del ricorso principale, occorre prendere in considerazione l’impugnativa incidentale. Con essa la Romolo deduce “errata valutazione dei tioli e delle pubblicazioni del dott. Piscopo, difetto di motivazione. Violazione dei criteri di massima fissati dalla Commissione Esaminatrice con verbale del
29.09.08. Erronea valutazione, contraddittorietà, illogicità verbale n. 2 del 5.11.2008. Conseguente esclusione dall’ammissione alla prova scritta. Sussistenza”
Asserisce la controinteressata che delle dieci pubblicazioni prodotte ben cinque non sarebbero valutabili in sede di concorso, trattandosi di documenti a stampa di cui l’odierno ricorrente dichiara di avere eseguito il deposito legale nel mese di marzo 2008 (in realtà per una, la n. 5 dell’elenco, il deposito è del 2005).
Sostiene ancora la controinteressata che non tenendo conto di queste cinque pubblicazioni di certo il candidato non avrebbe ottenuto un giudizio sufficiente per l’accesso alle prove scritte e sarebbe stato, quindi, escluso.
Il Collegio ritiene che – anche a volere per mera ipotesi ammettere che questa sarebbe stata la conseguenza dell’estromissione delle cinque pubblicazioni con deposito legale, il che è però tutt’altro che certo ed automatico – in ogni caso la doglianza è priva di fondamento.
Il bando di concorso, con riferimento alle modalità di presentazione delle domande, all’art. 3, penult. co., stabilisce che “Per i lavori stampati in Italia devono essere adempiuti gli obblighi previsti dall’art.1 del decreto legislativo luogotenenziale 31 agosto 1945, n. 660 << Ogni stampatore ha l’obbligo di consegnare, ogni qualsivoglia suo stampato o pubblicazione, quattro esemplari alla Prefettura della provincia nella quale ha sede l’officina grafica ed un esemplare alla locale Procura della Repubblica.>> Per attestare ciò è sufficiente che il candidato dichiari, sotto la propria responsabilità, che l’opera è stata effettivamente pubblicata. Sono considerate valutabili ai fini della presente procedura di valutazione comparativa, le opere già edite al momento della scadenza del bando di concorso”. L’art. 5 poi, specificatamente dedicato alle pubblicazioni, al penult. co., stabilisce che “per i lavori stampati in Italia devono essere adempiuti gli obblighi previsti dall’art.1 del decreto legislativo luogotenenziale 31 agosto 1945, n. 660 << Ogni stampatore ha l’obbligo di consegnare, ogni qualsivoglia suo stampato o pubblicazione, quattro esemplari alla Prefettura della provincia nella quale ha sede l’officina grafica ed un esemplare alla locale Procura della Repubblica.>>”.
Con tali ripetute indicazioni e con il richiamo a questa specifica normativa l’amministrazione universitaria ha posto sullo stesso medesimo piano opere edite, pubblicate e “depositate”, così scegliendo di considerare valutabili anche i lavori per i quali è stato fatto solo il deposito legale.
La Commissione, che ha valutato le pubblicazioni di Piscopo accompagnate da deposito legale, ha dunque pedissequamente seguito le regole speciali poste dal bando, nelle disposizioni sopra citate, non impugnate e neppure menzionate dalla ricorrente incidentale, che, peraltro, non vi avrebbe avuto interesse avendo anch’ella presentato a fini concorsuali pubblicazioni con la dicitura “in corso di stampa”.
4. Stante la particolarità della controversia, le spese possono essere interamente compensate. P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria – sezione staccata di Reggio Calabria – definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, così provvede:
accoglie il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale;

annulla gli atti impugnati; compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 25/02/2009 con l’intervento dei Magistrati:
Italo Vitellio, Presidente
Giuseppe Caruso, Consigliere
Caterina Criscenti, Consigliere, Estensore Depositata il 09/03/2009.

PUNTEGGI DEL BANDO, LA COMMISSIONE LI PUO’ SPECIFICARE
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV – sentenza 27 ottobre 2009 n. 6591
E’ legittimo l’operato di una commissione di concorso che, in una delle prime sedute, ha specificato i criteri generali di ripartizione del punteggio nell’ambito delle categorie dei titoli indicate dal bando, nell’esercizio del potere di puntualizzazione, specificazione e sottoclassificazione di criteri generali fissati dal bando e da norme primarie o secondarie, che alla stessa compete, purché tale potere sia esercitato nel rispetto dei consueti, doverosi canoni della discrezionalità amministrativa, cioè della logicità, coerenza, imparzialità ed oggettività.
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV – sentenza 27 ottobre 2009 n. 6591
N. 06591/2009 REG.DEC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 2874 del 2007, proposto da:
Cocchiara Matteo, rappresentato e difeso dagli avvocati Claudio Calafiore, Vincenzo Cannizzaro, con domicilio eletto presso Maurizio De Stefano in Roma, via Savastano N. 20;
contro
Ministero dell’Economia e delle Finanze, Commissione esaminatrice del concorso a 163 posti di dirigente indetto con D.M. 2.7.97, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
Maggi Corrado, Idone Bianca, Villano Pio;
per la riforma
della sentenza del TAR LAZIO – ROMA :Sezione II n. 01635/2006, resa tra le parti, concernente graduatoria del concorso per la copertura di 163 posti di dirigente del ruolo del ministero delle finanze.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero delle Finanze e del contro interessato Maggi; Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 29 settembre 2009 il cons. Armando Pozzi e uditi per le parti gli avvocati De Stefano, su delega dell’avv. Cannizzaro, e l’avv. dello Stato Urbani Neri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Il dr. Cocchiara ha impugnato innanzi al TAR Lazio, per chiederne l’annullamento, la graduatoria del concorso per titoli di servizio, professionali e di cultura, integrato da colloquio, per il conferimento di centosessantatré posti di dirigente del ruolo del ( ex ) Ministero delle Finanze ( ora Min. Economia e Finanze
), bandito con decreto direttoriale del 2 luglio 1997, nonché degli atti posti in essere dalla commissione giudicatrice nella valutazione dei titoli e di ogni atto precedente, connesso e/o consequenziale. Il predetto funzionario, infatti, ha partecipato alla procedura concorsuale interna classificandosi al 267° posto della relativa graduatoria, con punti 18,95, a fronte dei punti 20,68 conseguiti dall’ultimo dei vincitori, dal quale lo separano quindi solo punti 1,73. Per effetto di tale non utile collocazione in graduatoria egli ha pertanto impugnato, per quanto di ragione, la suddetta graduatoria nonché gli atti della procedura concorsuale de qua, contestando il punteggio assegnatogli e lamentando la mancata attribuzione dei punteggi relativi a numerosi titoli di servizio da lui posseduti, attraverso il seguente ed articolato motivo:
Eccesso di potere per mancata applicazione dei criteri di valutazione prefissati. Manifesta violazione dei
criteri autimposti con eccesso di discrezionalità. Mancata prefissione di autolimiti di riferimento per alcuni titoli. Difetto di istruzione o ponderazione.Violazione del procedimento. Contraddittorietà intrinseca, contraddittorietà estrinseca, ingiustizia grave e manifesta. Assenza, carenza o difetto di motivazione,

disparità di trattamento, illogicità manifesta ed irragionevolezza, violazione norme interne ed esterne, travisamento dei fatti ed erroneità dei presupposti. Mancata od errata valutazione dei titoli posseduti. Violazione di legge.
Nel giudizio di primo grado si sono costituiti sia il Ministero dell’Economia e delle Finanze sia il dottor Maggi, uno degli intimati controinteressati, contestando la fondatezza del gravame.
Con sentenza n. 1635/2006 del 2 marzo 2006 il TAR Lazio ha respinto il ricorso.
La stessa sentenza viene appellata dal dr. Cocchiara, il quale, con articolato e diffuso ricorso, ribadisce quanto già dedotto in primo grado, cioè che la Commissione esaminatrice avrebbe illegittimamente omesso di valutare taluni titoli con conseguente mancata assegnazione dei relativi punteggi e lamenta il difetto di motivazione, la contradditorietà ed il travisamento di fatti ed atti posto in essere dai Giudici di primo grado con l’impugnata sentenza.
Si è costituita in giudizio l’amministrazione per contestare con ampia memoria la fondatezza dell’appello. Alla pubblica udienza del 29 settembre 2009 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1 – Nel giudizio di primo grado il dr. Cocchiara aveva lamentato la mancata valutazione, da parte della Commissione giudicatrice del concorso a 163 posti di dirigente per titoli di servizio e colloquio meglio indicato in fatto, indetto con D. D. del 2 luglio 1997 , dei seguenti titoli di servizio:
1) Conferenza in materia di dichiarazione dei redditi tenuta presso il comune di Valledolmo;
2) Conferenza sul tema “Campagna di assistenza per la presentazione delle dichiarazioni dei redditi. Modelli 740/1997” (punti 0,20); e sul tema “Gara di appalto per l’acquisizione di apparecchiature elettroniche per gli uffici centrali e periferici dell’amministrazione finanziaria” (punti 0,20);
3) Conferenza sul tema “Guida al concordato fiscale” (punti 0,10);
4) n. 3 incarichi ispettivi (per complessivi punti 0,30);
5) Corso di aggiornamento per rappresentanti dell’amministrazione finanziaria tenuto dal 2 al 14 dicembre 1991 (punti 1,00) e corso di aggiornamento in materia di notificazioni, tenuto dal 19 al 24 giugno 1995 (punti 0,50);
6) Corsi di Formazione “Determinazione dei ricavi”, “Adempimenti Funzionari Delegati”, “Definizione obbligazione tributaria” (per complessivi punti 0,75);
7) Partecipazione alla Commissione di esami per l’abilitazione all’iscrizione al R.E.C. (punti 0,20);
8) Presidente della Commissione per lo scarto di archivio (punti 0.05).
2 – Il TAR, dopo avere preliminarmente precisato che all’odierno appellante mancherebbero, per essere inserito nel novero dei vincitori del concorso, punti 1,73, atteso che il concorrente posizionatosi al 163° posto ha ottenuto il punteggio di 20,68, è sceso nel merito delle singole censure.
In particolare, il Tribunale amministrativo ha osservato che:
” a) il titolo di cui al punto 1) non risultava in alcun modo indicato nei termini di cui all’art.2 lett.e) del bando e, pertanto, correttamente la Commissione non ne ha tenuto conto;
b) relativamente ai titoli di cui al punto 2), correttamente non erano stati valutati in quanto si trattava di videoconferenze; quindi, l’operato della Commissione de qua arebbe immune dalle dedotte illegittimità, atteso che, date le ” incontestabili diversità ” di svolgimento tra conferenze e videoconferenze, non sussiste la prospettata equivalenze tra le stesse;
c) per quanto concerne la conferenza “Guida al concordato fiscale” del 5/12/1995, la sentenza ha considerato che la mancata valutazione di tale titolo era dipesa dalla circostanza che si trattava della mera conduzione di una trasmissione radiofonica, peraltro non preceduta da un apposito incarico, conferito con formale provvedimento dell’amministrazione;
d) in ordine alla mancata valutazione degli incarichi ispettivi (n.4) il TAR, richiamando la propria sentenza n.14913 del 28/12/2005, la quale ha affermato l’illegittimità dell’operato della commissione esaminatrice nella parte in cui aveva ritenuto che la nozione di incarichi e servizi speciali di cui all’art.3 del bando dovesse essere interpretata nel senso di includere anche gli incarichi ispettivi svolti dai singoli candidati nello svolgimento delle loro ordinarie mansioni di servizio, ha rigettato il profilo di doglianza a tal fine dedotto.
e) per quanto riguarda, i titoli di cui ai punti 6) 7) e 8), secondo la stessa sentenza di primo grado gli stessi non potevano essere valutati dalla Commissione esaminatrice perché non erano stati in alcun modo esplicitamente indicati nella domanda di partecipazione, così come richiesto categoricamente dal citato art.2 del bando .
Per quanto concerne, invece, la doglianza dedotta avverso la mancata valutazione dei titoli di cui al punto 5), essa è stata dichiarata inammissibile, atteso che anche con l’eventuale accoglimento della stessa e con il conseguente riconoscimento di punti 1,50, il ricorrente non sarebbe riuscito a collocarsi nel novero dei vincitori.
3 – Per vagliare le censure mosse all’impianto motivazionale della sentenza ( invero sintetico ), occorre precisare che l’articolo 2, comma 4, lett. e) del bando di concorso stabiliva che i titoli ” dovranno essere indicati dal candidato mediante precisi ed univoci estremi di riferimento e dovranno essere allegati in originale o copia autenticata, qualora non siano in possesso dell’amministrazione “.

L’articolo 3 dello stesso bando individuava, poi, le sei categorie di titoli, conformemente a quanto indicato dall’articolo 21 del D.P.C.M. 21-4-1994 n. 439, recante il regolamento relativo all’accesso alla qualifica dirigenziale, all’epoca vigente, poi superato dal D. Lgs. 30-7-1999 n. 287 di riordino della Scuola superiore della pubblica amministrazione .
Sul piano concretamente procedimentale, occorre rilevare che nella seduta del 23 giugno 1998 la Commissione esaminatrice ha ulteriormente specificato i criteri generali di ripartizione del punteggio nell’ambito delle categorie indicate dall’art. 3 del bando. Quindi, nella seduta di cui al verbale n. 7 dell’8.2.1999 ha approvato il documento definitivo contenente un lungo elenco comprensivo di tutte le sottocategorie dei titoli e del relativo punteggio.
Così facendo, la commissione ha operato nell’esercizio di un potere di puntualizzazione, specificazione e sottoclassificazione di criteri generali fissati dal bando e da norme primarie o secondarie, che la giurisprudenza ha sempre ritenuto legittimo, purché esercitato nel rispetto dei consueti, doverosi canoni della discrezionalità amministrativa, cioè della logicità, coerenza, imparzialità, oggettività ( ex plurimis: Cons. St. , sez. VI, 8 maggio 2008 , n. 2125 ).
4 – Ciò precisato, l’appellante lamenta anzitutto la mancata utilizzazione della graduatoria degli idonei per la copertura di ben altri trecento posti di qualifica dirigenziale, per i quali invece l’amministrazione ha deciso di attivare un inutile, dispendiosa ulteriore procedura concorsuale. Nel merito deduce il seguente, articolato motivo d’appello : “difetto di motivazione della sentenza appellata ed errores in judicando per mancata considerazione dell’eccesso di potere per mancata applicazione dei criteri di valutazione prefissati, manifesta violazione dei criteri autoimposti con eccesso di discrezionalità, mancata prefissione di autolimiti di riferimento per alcuni titoli, difetto di istruzione o ponderazione, violazione del procedimento, contraddittorietà estrinseca, ingiustizia grave e manifesta, assenza, carenza o difetto di motivazione, disparita’ di trattamento, illogicita’ manifesta ed irragionevolezza, vi olazione di norme interne ed esterne, travisamento dei fatti ed erroneità dei presupposti. mancata od errata valutazione dei titoli “.
In particolare, l’appellante, dopo avere osservato che la stessa amministrazione si era auto vincolata a considerare tutti i titoli presentati dai candidati, creando l’apposita voce residuale ed atipica delle ” categorie generiche “, elencate nel verbale n. 7 del 8.2.1999, contesta punto per punto la mancata valutazione dei titoli come meglio sopra indicati.
5 – Preliminarmente, deve dichiararsi il motivo d’appello circa l’illegittima omessa utilizzazione della graduatoria degli idonei inammissibile, in quanto non proposto in primo grado e comunque afferente a fatti, eventi e comportamenti assertivamente omissivi successivi al procedimento concorsuale impugnato innanzi al TAR.
Ulteriore profilo di inammissibilità consiste nel difetto di giurisdizione del G. A. in materia di utilizzazione di graduatorie concorsuali, trattandosi di controversia esterna e successiva al procedimento amministrativo per l’accesso ai pubblici uffici, soltanto per il quale l’articolo 63 del d. lgs. n. 165/200 ha mantenuto la giurisdizione del giudice amministrativo.
6 – Per quanto concerne il merito, iniziando dal titolo sub 1), ” Conferenza in materia di dichiarazione dei redditi tenuta presso il comune di Valledolmo ” , l’appellante osserva che la motivazione di rigetto del TAR è del tutto apodittica, a fronte della stessa dichiarazione confessoria dell’amministrazione, secondo la quale il titolo in questione era stato sia indicato in domanda che documentato quale allegato.
7 – In via preliminare e generale, va osservato che il bando prescriveva chiaramente e tassativamente che le domande di partecipazione al concorso dovevano indicare ed elencare i titoli valutabili come esposti nel successivo articolo 3 ” mediante precisi ed univoci estremi di riferimento “.. Lo stesso articolo 2 del bando aggiungeva che i titoli ” dovranno essere allegati in originale o copia autentica, qualora non siano in possesso dell’amministrazione “.
La richiamata disposizione concorsuale prescriveva quindi due precisi e distinti oneri formali ( e non ” formalistici ” come assume l’appellante ) : quello dell’indicazione chiara ed esaustiva del titolo e quello dell’allegazione dei titoli non posseduti dall’amministrazione. In base al combinato disposto delle due previsioni occorreva, dunque, che il candidato indicasse nella domanda tutti i titoli vantati, compresi quelli già in possesso dell’amministrazione interessata al concorso.
Questa prescrizione non appare in contrasto con il principio, pur fondamentale, di non aggravamento del procedimento amministrativo, enunciato nell’articolo 1, comma 2, della legge n. 241 del 1990 e specificato in altre disposizioni particolari della stessa legge n. 241, quali l’articolo 2, comma 4 e 19, comma 2.
Anche il d. lgs. n. 165/2001 ha rafforzato il principio funzionale di non aggravamento correlandolo con quello organizzativo di collegamento, comunicazione interna ed esterna ed interconnessione tra amministrazioni pubbliche, di cui all’articolo 2, comma 1, del citato decreto legislativo.
Il principio di non aggravamento – pur costituendo la base di civiltà giuridica dell’agire di una qualsiasi amministrazione moderna e democratica – deve tuttavia essere innestato sugli altri principi procedimentali anch’essi derivati dai valori costituzionali di cui agli artt. 97 e 98 Cost.: buon andamento e dedizione non ad astratti e fumosi ” interessi generali ” ma a quelli specifici della Nazione, cioè ai bisogni ed interessi concreti di tutti i componenti la collettività nazionale.

Fra i principi fondamentali che caratterizzano ulteriormente il procedimento amministrativo in generale e quello concorsuale in particolare vi sono quelli della efficienza, efficacia, celerità ed economicità: art. 1, comma 1, legge n. 241 del 1990; art. 35, comma 3, lettera a) del d. lgs. n. 165/2001.
Tutti i predetti principi concorrono dunque ad assicurare un procedimento che sia rispettoso, al contempo, della dignità del cittadino e della conseguente pretesa a non subire richieste vessatorie, defatigatorie ed inutili da parte dei funzionari pubblici e della necessità, privata degli altri candidati e pubblica dell’amministrazione, di chiudere il concorso in tempi brevi e con risultati efficaci.
La pretesa contenuta nel bando di indicare ( seppur non allegare ) anche i titoli posseduti dall’amministrazione si manifesta conforme ai predetti principi, consentendo all’amministrazione stessa di procedere agevolmente e rapidamente alla ricerca dei titoli in suo possesso, soprattutto quando si tratti, come nel caso di specie, di amministrazione strutturalmente complessa ed articolata in una molteplicità di uffici distinti territorialmente e funzionalmente e quando la procedura concorsuale veda un’elevata partecipazione di candidati, con conseguente mole documentale da acquisire.
8 – Quanto al requisito della esaustività delle indicazioni dei titoli, esso comporta che il candidato proceda ad un’elencazione completa e significativa dei titoli stessi, sempre per soddisfare quel principio di economicità e celerità di cui s’è poc’anzi detto.
Quando il bando usa, pertanto, termini stringenti e limpidi, quali ” precisi e univoci ” dati, non basta per soddisfare quella richiesta dichiarare la frequenza di un corso, indicandone solo data e titolo, ma occorre precisare altresì l’ente organizzatore, il luogo di svolgimento, le caratteristiche del corso medesimo ( ad es., se con voto finale o meno ), gli attestati di frequenza, ecc..
9 – Tornando al caso di specie, bene ha fatto la commissione prima ed il TAR poi a considerare non valutabile la conferenza tenuta presso il comune di Valledolmo, trattandosi di titolo che non compare nella domanda di partecipazione né nelle dichiarazioni integrative successivamente inviate alla commissione ( salva la verifica della loro legittimità, come meglio si vedrà in prosieguo ), dalle quali per ammissione dello stesso funzionario emerge un comportamento distratto ( cfr. dichiarazione del candidato in data 3.6.1999 ) certo non consono alla diligenza di un partecipante ad una procedura concorsuale né tanto meno di un funzionario esperto ed interessato.
Con riguardo al medesimo titolo – impregiudicato il rilievo assorbente della mancata indicazione dei esso – resta poi il fatto che lo stesso titolo neppure poteva essere in possesso dell’amministrazione che indiceva il concorso, come apoditticamente ribadito nell’atto d’appello, trattandosi di iniziativa assunta non dal Ministero ma da un’amministrazione locale.
10 – Con riguardo alla mancata valutazione della conferenza ” Guida al concordato fiscale” il dr. Cocchiara assume di non potersi contestare la valutabilità di una conferenza a cui ha oggettivamente partecipato, solo perche essa è stata divulgata via radio, tenuto conto che un tale tipo di evento ha l’ulteriore pregio, rispetto alle normali conferenze, di una maggiore diffusione.
L’assunto non ha pregio, essendosi trattato di una semplice trasmissione radiofonica da parte di un’emittente locale, nella quale il funzionario ha svolto un semplice e non meglio specificato ruolo di ” conduttore “, che è cosa ben diversa da quella di ” conferenziere “, il quale è colui che tiene un discorso prolungato e tecnicamente compiuto su un preciso argomento ad una platea di uditori. La nozione di conduttore radiofonico è incerta e polivalente, potendosi identificare di volta in volta con quella di presentatore, moderatore, semplice interlocutore o coordinatore di interventi altrui,, ecc.
Bene ha fatto, dunque, la sentenza appellata a ritenere irrilevante questo titolo, trattandosi, in mancanza di scrupolosa e convincente certificazione in senso contrario, di ” mera conduzione “, cioè di attività di semplice accompagnamento e guida di una serie di interventi, non implicante una specifica, approfondita e mirata preparazione e studio preliminare su un tema predeterminato.
11 – Per quanto concerne gli incarichi ispettivi, l’appellante rileva che nella sua scheda di valutazione ne sono stati erroneamente indicati solo cinque, mentre egli aveva documentato l’espletamento di otto incarichi presso: 1) esattoria di Lercara, 2) esattona di Prizzi, 3) esattoria di Palazzo Adriano, 4) Impresa Tosto, 5) Impresa Verga e Tosto, 6) esattoria Castronovo di Sicilia, 7) esattoria di Palazzo Adriano, 8) esattoria di Roccapalumba.
Pertanto, essendo il punteggio quello di 0,10 ad incarico, gli dovevano essere attribuiti punti 0,80 e non 0,50 come illegittimamente ed erroneamente fatto in sede di valutazione da parte della Commissione.
Secondo l’appellante, sarebbe particolarmente grave ed assolutamente inaccettabile l’argomento difensivo rappresentato dall’Amministrazione in sede di memoria difensiva in primo grado, secondo cui l’amministrazione non avrebbe reperito ai propri atti i predetti incarichi.
Se il dipendente autodichiara di aver svolto otto incarichi di ispezioni e verifiche (producendo, tra l’altro, anche i documenti che comprovano tale autodichiarazione, l’Amministrazione se ha le prove deve contestare la veridicità di tale autodichiarazione e dei documenti posti a suo supporto, ma non può limitarsi a non considerare sia l’autodichiarazione, sia i correlati documenti, limitandosi ad affermare, tardivamente e solo in sede giudiziale, di non essere stata capace di rinvenire alcuni propri atti di mero riscontro di verifiche realmente svolte.

Parimenti illegittima sarebbe – sempre secondo l’appellante – la sentenza del TAR, laddove essa, a supporto del proprio deciso, ha richiamato altra sentenza ( la n. 14913/2005 ) resa fra altre parti, non richiamata in alcun scritto difensivo e sulla quale pertanto non vi è stato contraddittorio.
Il motivo d’appello, come sopra sinteticamente riportato, da qualsiasi parte lo si consideri, non merita accoglimento.
In primo luogo, occorre ricordare che i motivi d’appello debbono investire i capi della sentenza ritenuti
erronei, illogici o immotivati e non le memorie difensive della controparte, le quali possono solo illustrare la vicenda ma non fornire ulteriore oggetto del contendere che non sia quello innescato dal provvedimento amministrativo.
Ciò che poteva costituire oggetto dell’appello era solo il capo della sentenza il quale ha statuito che i tre incarichi non considerati dalla commissione rientravano nelle loro ordinarie mansioni di servizio.
Su questo punto l’atto d’appello glissa totalmente, invocando malamente principi sull’autodichiarazione che
nulla hanno a che vedere con la legittimità sostanziale dell’azione amministrativa.
12 – Al riguardo, vale osservare che non è contestabile che possano essere “comprovati con dichiarazioni, anche contestuali all’istanza, sottoscritte dall’interessato e prodotte in sostituzione delle normali certificazioni ” anche i seguenti fatti e circostante: “qualifica professionale posseduta, titolo di specializzazione, di abilitazione, di formazione, di aggiornamento e di qualificazione tecnica “, ai sensi dell’articolo 46 del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, emanato con il D.P.R. 28-12-2000, n. 445.
Analogamente a dirsi per le dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà, di cui al successivo articolo 47 dello stesso Testo unico.
Tuttavia, occorre ricordare che per giurisprudenza costante, la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà ha attitudine certificativa e probatoria fondata sull’istituto della presunzione semplice ( e non assoluta, come pretende erroneamente l’appellante ), cioè fino a contraria risultanza, nei confronti della Pubblica Amministrazione e nei procedimenti amministrativi in cui la stessa viene inserita (cfr. Cass. Civ. Sez. Un., 14 ottobre 1998, n. 10153; Sez. lav., 25 luglio 2002, n. 10981; 14 aprile 2001, n. 5594; sez. III, 16 maggio 2001,
n. 6742; 16 gennaio 1996, n. 298). Inoltre, quella efficacia probatoria cessa nell’ambito del processo, dove tutte le parti possono fornire al giudice prova contraria a quanto attestato nella dichiarazione sostitutiva ( Cass., sez. lavoro, 11-07-2007, n. 15486; Cons. St. , sez. IV, 24 febbraio 2000 , n. 1010 ).
Neppure va dimenticato che le autodichiarazioni del privato concernono soltanto “stati, qualità personali e fatti “, cioè dati oggettivi e non opinabili e pertanto non hanno effetto alcuno sulle loro qualificazioni variamente configurate e rilevanti nell’ambito dei diversi procedimenti amministrativi.
13 – La circostanza, pertanto, che l’interessato avesse dichiarato di avere svolto visite ispettive come sopra indicate non significa che esse dovessero conseguentemente ed automaticamente acquisire rilevanza ai fini dell’attribuzione del punteggio, essendo invece determinante, a tal fine, che quelle funzioni costituissero ” incarico “, cioè espletamento di atti ” non compresi nei compiti e doveri di ufficio” e “previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative “, nonché ” espressamente autorizzati “. E’ questa la nozione di incarico secondo il disposto dell’articolo 58 del d. lgs. n. 29/1993, all’epoca dei fatti ancora vigente e poi sostituito dal d. lgs. n. 165/2001.
Nella specie, invece, i tre incarichi invocati dall’appellante per pretendere un incremento di punteggio rientravano negli ordinari e normali compiti di istituto, trattandosi di verifiche ” ordinarie e normali ” predisposte da appositi e ricorrenti piani annuali predisposti dall’amministrazione finanziaria nell’ambito dell’ordinaria attività di controllo interno ( cfr. certificati del 25.7.1990 e del 12.1.1991 rispettivamente dell’Uff. Distr. II. DD. Di Lercara Friddi e dell’Intendenza di Finanza di Palermo ).
Risulta pertanto corretta la sentenza di primo grado sul punto, a nulla valendo la censura capziosa circa l’indebito richiamo ad altro precedente dello stesso Giudice, richiamo che però da un lato è chiaro e non ermetico, essendosi riportato il principio di diritto ivi affermato e perfettamente consentito da esplicita previsione normativa concernente il processo amministrativo ( art. 26, comma 4, legge n. 1034 del 1971: sentenza succintamente motivata anche con richiami a precedenti conformi ).
14 – Con riguardo, poi, alla mancata valutazione di due corsi di aggiornamento meglio indicati nelle premesse, l’appellante deduce che la motivazione per la quale i due corsi in questione non sono stati valutati in quanto «non documentati» è illegittima, trattandosi di corsi tenuti dall’Amministrazione finanziaria, la cui partecipazione è stata autocertificata dallo stesso funzionario in sede di domanda di partecipazione al concorso, con la precisazione che i titoli in questione «si trovano in possesso dell’Amministrazione».
I due corsi dovevano, quindi, essere valutati con punti rispettivamente 0,50 e 1,00, in presenza di una autodichiarazione completa che indicava l’Amministrazione in possesso della documentazione e che avrebbe potuto attestare la partecipazione del candidato, in conformità alle statuizioni dell’art 18 della legge n. 241/90, della l. 15/68, della l. 127/97 ed oggi dal d p r 445/2000.
Il motivo è del tutto infondato.
Valgano al riguardo le considerazioni sopra svolte in ordine ai requisiti formali della domanda di partecipazione.

Come già ampiamente illustrato, i titoli dovevano essere indicati dagli aspiranti in modo ” preciso ed univoco “. Le predette, tassative e chiare modalità di redazione della domanda non possono certo ritenersi soddisfatte, per quanto sopra detto, con l’indicazione del solo titolo del corso e delle date di svolgimento, dovendosi tali lacunosi e non perspicui elementi integrare con la dichiarazione dell’ente organizzatore, del luogo, delle caratteristiche del corso, ecc., a nulla valendo la circostanza che quei corsi fossero stati organizzati dalla stessa amministrazione, trattandosi di un Ministero ad elevata complessità strutturale e funzionale, con una molteplicità e varietà di uffici centrali e periferici, ai quali si aggiungono speciali strutture didattiche di natura strumentale, come la Scuola Centrale tributaria, autonoma e strutturalmente distinta dall’apparato ministeriale. Quindi l’interessato, per non costringere l’amministrazione a ricerche lunghe ed affannose, avrebbe dovuto, in alternativa, o completare il contenuto della propria dichiarazione sostitutiva, ovvero allegare alla stessa la relativa, dettagliata e significativa documentazione certificativa.
15 – Venendo alle ultime categorie di titoli ( Presidente commissione atti d’archivio, Corsi di Formazione “Determinazione dei ricavi”, “Adempimenti Funzionari Delegati”, “Definizione obbligazione tributaria”; Partecipazione alla Commissione di esami per l’abilitazione all’iscrizione al R.E.C. ) la sentenza del TAR, sul punto, sarebbe, a detta dell’appellante, ancora una volta immotivata ed erronea, essendosi limitata ad affermare che detti titoli erano stati omessi nella domanda di partecipazione. L’appellante non contesta tale affermazione ma ne inficia la portata dirimente invocando integrazioni documentali da lui effettuate con proprie comunicazioni e allegazioni integrative del 3.6.1999 e del 10.8.2000, inviate su espressa ” richiesta ” della Amministrazione – Commissione. Si tratta tuttavia di mera affermazione non supportata da nessuna indicazione precisa né tanto meno da allegazioni documentali di alcun genere.
In atti risultano invero le due comunicazioni di parte con i relativi allegati, ma della ripetuta ” richiesta ” non v’è traccia, sicché le note dell’interessato appaiono più come iniziativa spontanea che non il frutto di sollecitazioni integrative della commissione, le quali, oltretutto, sarebbero state contrarie al fondamentale principio concorsuale della tassatività dei termini per la presentazione delle domande e della par condicio fra tutti i concorrenti.
16 – Un discorso finale merita la questione relativa alla mancata valutazione delle due Conferenze indicate ai numeri 1 e 2 delle premesse. L’appellante assume – ancora una volta in modo piuttosto tautologico – che i due titoli erano ricompresi fra quelli di cui alla domanda di partecipazione al concorso e la copia di detti titoli, peraltro già in possesso dell’Amministrazione, era stata trasmessa alla Commissione su richiesta di quest’ultima.
Secondo l’appellante si tratterebbe di titoli rientranti nella categoria A/5 “Conferenza” n. 1, di cui all’elenco allegato al verbale n 7 della Commissione redatto in data 8/2/99 e da valutare con punti 0,10 per ogni conferenza, per un totale di punti 0,20. Detti titoli sarebbero stati tuttavia incomprensibilmente esclusi con dicitura sintetica ed ermetica, così come la sentenza parla immotivatamente di ” incontestabili diversità ” fra conferenze e video conferenze.
In effetti, non può negarsi che la sentenza di primo grado avrebbe anche potuto spendere qualche parola in più sulla richiamata diversità e non limitarsi a dichiarala, in modo apodittico ” incontestabile “, non trattandosi di fatto notorio, almeno per il Collegio.
Peraltro, l’incompletezza della sentenza di primo grado per carenza motivazionale non comporta la caducazione della stessa, ma consente al giudice d’appello di riesaminare nel merito la questione, in quanto l’ effetto devolutivo dell’appello, strettamente connesso alla funzione rinnovatoria del giudizio di secondo grado come revisione del giudizio di primo grado comporta l’automatica riemersione nel secondo grado di giudizio del materiale cognitorio (domande, eccezioni, deduzioni, difese ecc.) introdotto in prime cure e la devoluzione al giudice di appello degli stessi poteri di cognizione e di decisione spettanti al giudice di primo grado (cfr. Cons. St., sez. V, 21 novembre 2007 , n. 5926 ;sez. V, 20 aprile 2004, n. 2424).
17- L’uso della nozione di videoconferenza è da tempo invalso., sulla spinta delle nuove realtà tecnologiche, nelle fonti normative del nostro Paese e ricorre sempre più spesso anche in numerosi provvedimenti amministrativi.
Il caso forse più noto e rilevante, anche per la fonte di cognizione che contiene quella nozione, è l’articolo 146-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del Codice di Procedura Penale, regolante la partecipazione al dibattimento a distanza.
La norma prevede che quando sia stata disposta tale forma di partecipazione processuale, è attivato un collegamento audiovisivo tra l’aula di udienza e il luogo della custodia, con modalità tali da assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e la possibilità di udire quanto vi viene detto. Il principio di visibilità e udibilità è assicurato anche se il provvedimento è adottato nei confronti di più imputati che si trovino, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione in luoghi diversi; anche in tal caso ciascuno è posto altresì in grado, con il medesimo mezzo, di vedere ed udire gli altri.
La norma penale dunque, grazie all’introduzione di moderne tecnologie, sancisce la totale equiparazione del luogo fisico ove avviene la videoconferenza con l’udienza dove si svolge il procedimento; tuttavia, solo se e a condizione che la modalità a distanza sia rispettosa dei principi di effettività, visibilità e udibilità diretta ed immediata si può ritenere che l’imputato o l’indagato che presenzia all’udienza in videoconferenza non sia in

alcun modo privato, né vulnerato nel suo diritto di ricevere assistenza ( cfr. Cass. Pen. , sez. VI , 5 dicembre 2006 , n. 4119 ).
Quindi, nel processo penale solo nella ricorrenza di tassative condizioni e requisiti la videoconferenza è
equiparata all’udienza.
Più recentemente, anche nella materia dell’indennizzo delle vittime di reato si è previsto che nell’ambito del procedimento per la concessione dell’indennizzo si possa procedere per collegamento in videoconferenza, purché esso sia stato preceduto, al pari dell’audizione fisica, dalla preventiva comunicazione ai soggetti da ascoltare, all’autorità richiedente ed ai soggetti dei quali sia richiesta la presenza, il luogo, la data e ” le modalità ” previste per l’audizione ( art. 4 del D.M. 23-12-2008, n. 222, recante il regolamento di attuazione dell’articolo 7 del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 204 ).
Sul piano più strettamente tecnico, il D.P.C.M. 1-4-2008, contenente appunto le regole tecniche e di sicurezza per il funzionamento del Sistema pubblico di connettività ( SPC ), previste dall’articolo 71, comma 1-bis, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante il Codice dell’amministrazione digitale, ricomprende tra le componenti logiche del Sistema i servizi di interoperabilità e cooperazione, includendovi quelli di interoperabilità evoluta e cooperazione applicativa per le amministrazioni ed i servizi infrastrutturali di cooperazione applicativa e stabilendo che i servizi di interoperabilità evoluta debbono consentire la comunicazione a livello applicativo tra le amministrazioni e con il mondo esterno e comprendono servizi di messaggistica, videoconferenza e sviluppo di servizi web accessibili in modalità multicanale.
Fra i numerosi provvedimenti amministrativi che hanno fatto ricorso alla nozione di videoconferenza basterà citare, per tutti e a caso, il recente decreto dell’Università degli studi telematica Guglielmo Marconi, il cui articolo 5 prevede che le riunioni del Consiglio di Amministrazione possono svolgersi anche in teleconferenza o videoconferenza; in tal caso, però, il Presidente deve ” identificare, personalmente ed in modo certo “, tutti i partecipanti collegati in teleconferenza o videoconferenza e ” assicurarsi che gli strumenti audiovisivi consentano agli stessi, in tempo reale, di seguire la discussione ed intervenire nella trattazione degli argomenti “. Soltanto a tali condizioni “La riunione si considera tenuta nel luogo in cui si trovano “.
Oltre che strumento di partecipazione al processo o ad organi collegiali le conferenze a distanza possono inserirsi nell’ambito di attività di formazione o di promozione e possono assumere le denominazioni più disparate, secondo una tipologia che si alimenta anche ( e indebitamente, secondo le direttive redazionali della P. C. M. ) di termini stranieri: congressi, inaugurazioni, seminari, conferenze stampa, meeting, mostre, colazioni di lavoro, workshop, promotion tour, master, seminari, corsi di formazione, ecc. ( cfr., per tutti, il
D.M. 7-5-2008, recante il manuale dei principi e regole contabili del sistema unico di contabilità economica delle pubbliche amministrazioni ).
Dalle sporadiche disposizioni riguardanti la materia delle videoconferenze sembra pertanto potersi ricavare
un dato comune e comunque enucleabile anche da regole di logica e da principi di buon andamento. Questo dato è che la videoconferenza deve assicurare le stesse caratteristiche della conferenza tradizionale giuridicamente valida come titolo di servizio. Quindi, così come la partecipazione a conferenze fisiche, per poter valere come requisito di servizio da produrre in una procedura concorsuale deve assicurare un minimo di serietà, credibilità e coerenza con le finalità della formazione ed acquisizione di maggiori esperienze culturali e professionali, parimenti le stesse caratteristiche di serietà, credibilità ed utilità deve avere la videoconferenza.
Già far valere la semplice partecipazione alla conferenza tradizionale come titolo valutabile nelle procedure concorsuali appare opinabile, non essendo sicuro che la semplice audizione disattenta e svogliata di una serie di relazioni o conferenze possa incrementare il bagaglio di conoscenze del partecipante; ma se a quel dato, già di per sé opinabile non si accompagna almeno una serie di condizioni e limiti, quale la registrazione delle presenze all’inizio ed alla fine, la registrazione di interventi o domande, ecc., il requisito fondamentale, di rilevanza costituzionale, della concorsualità, cioè la comparazione e selezione dei più meritevoli, capaci e diligenti, appare del tutto frustrato.
Tutto ciò per dire, conclusivamente, che non è accettabile, in punto di diritto, l’equiparazione astratta e generica che l’appellante fa tra conferenza tradizionale e quella video o tele, trattandosi di affermazione altrettanto apodittica quanto quella della sentenza appellata. E’ perciò inutile che l’appellante descrivi esattamente e correttamente le caratteristiche di una conferenza ( o convegno o seminario che dir si voglia ), quali l’ascolto degli interventi, la partecipazione al dibattito ed ai lavori, ecc., se poi non dimostra concretamente che quelle caratteristiche erano possedute dalla conferenza cui egli ha partecipato. Al riguardo, il titolo esibito si limita ad attestare laconicamente che l’interessato ha partecipato alla videoconferenza tenutasi nei locali del Centro Servizi di Palermo, senza dire una parola sulle modalità di svolgimento ( registro presenze, orario di durata, nome dei relatori, e, soprattutto, collegamento con chi, da chi o verso chi ).
Conclusivamente l’appello va respinto.
Le spese, tenuto conto anche della laconicità della sentenza di primo grado che ha indotto l’interessato a proporre appello, possono compensarsi.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso in appello indicato in epigrafe, respinge l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 settembre 2009 con l’intervento dei Signori: Costantino Salvatore, Presidente
Luigi Maruotti, Consigliere Goffredo Zaccardi, Consigliere
Armando Pozzi, Consigliere, Estensore
Bruno Mollica, Consigliere
DEPOSITA

2022-06-02T19:28:08+02:00
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