SENTENZE CASSAZIONE AUTOFERROTRANVIERI
Rapporto di lavoro – CCNL autoferrotranvieri – Mansioni di operatori di esercizio addetti alla conduzione di autobus – Attività al di fuori della residenza anagrafica
Rilevato
Che con distinti ricorsi, successivamente riuniti, D.N. e S.C. (cui poi succedeva quale erede A.Z.), dipendenti di ANM (azienda napoletana mobilità) con mansioni di operatori di esercizio addetti alla conduzione di autobus e con dedotta residenza di lavoro in Napoli presso il Deposito di Via N.P., chiedevano, nelle rispettive qualità, la corresponsione della diaria cd. ridotta al 9% per ogni giornata di effettiva presenza in servizio (con durata non inferiore a sei ore) ex art. 21 del c.c.n.l. autoferrotranvieri del 1976.
Resisteva l’ANM.
Che il Tribunale di Napoli accoglieva le domande con sentenza che veniva appellata da ANM eccependo, tra l’altro, la mancanza del reclamo gerarchico, del tentativo di conciliazione, la nullità del ricorso e la prescrizione dei crediti vantati dai lavoratori, oltre alla mancata produzione integrale del c.c.n.l., al difetto di prova dei presupposti necessari per l’accoglimento delle domande, in primo luogo con riferimento al concetto di residenza di lavoro ex artt. 20 e 21 c.c.n.l. 1976.
Con sentenza depositata il 1.4.14, la Corte d’appello di Napoli, respinte le eccezioni preliminari circa il difetto di reclamo gerarchico (per risultare prodotto) e l’esperimento del tentativo di conciliazione (non più rilevabile) accoglieva il gravame e respingeva le domande proposte, considerando che l’indennità in questione spetta quando il dipendente effettui la sua attività al di fuori della propria residenza anagrafica, da individuarsi nella “tratta” e cioè il percorso normalmente adottato presso la sede (nella specie il Deposito di Via N.P.), per un periodo non inferiore alle sei ore, circostanze di cui non era stata fornita alcuna prova.
Che per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso il N. e la Z., affidato a sei motivi, cui resiste la ANM con controricorso. Sono pervenute conclusioni scritte del P.M.ConsideratoChe i ricorrenti si dolgono: 1) della erronea valutazione e falsa applicazione degli artt. 20 e 21 CCNL Autoferrotranvieri 1976; 2) della incoerente ed illogica interpretazione dell’art. 20 cit. in materia di residenza di lavoro, con specifico riferimento al personale viaggiante delle aziende autoferrotranviarie in genere ed al personale A.N.M. in particolare; 3) della evidente confusione terminologica tra residenza di lavoro e residenza anagrafica; 4) della erronea individuazione del concetto di tratta ed incoerente ed illogica confusione tra i concetti di tratta e di linea; 5) della violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., in uno all’art.115 c.p.c. ed al principio di mancata contestazione; 6) dell’inopportuno richiamo ai precedenti della Cassazione indicati (sentenze nn. 9548/03, 1166/95, 5759/94, 9795/92).Che il ricorso, essenzialmente fondato sulla censura che la residenza di lavoro dei conducenti di automezzi, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte di merito, non poteva considerarsi la località in cui era ubicata la tratta della linea cui erano assegnati ma invece il deposito ove i lavoratori si recavano quotidianamente per prelevare gli automezzi, è teoricamente fondato, e tuttavia non può condurre alla cassazione della sentenza impugnata.Ed invero questa Corte ha più volte affermato che non viola i criteri legali di ermeneutica contrattuale l’interpretazione dell’art. 20 (cui rinvia l’art. 21 ai fini della determinazione del diritto alla c.d. indennità di diaria ridotta) del c.c.n.l. per gli autoferrotranvieri del 23 luglio 1976 – che definisce quale residenza del dipendente la località in cui ha sede l’ufficio, la stazione, il deposito, l’impianto, la rimessa, l’officina, la tratta, ecc., cui l’agente appartiene -, in base alla quale deve considerarsi residenza (di lavoro) del dipendente non già la sede dell’intera struttura aziendale o l’intero territorio a cui si riferisce la concessione del servizio, ma la località geografica e amministrativa in cui ha sede l’ufficio o la stazione (o le altre articolazioni considerate dal cit. art. 20) cui il lavoratore appartiene secondo la propria qualifica e le proprie mansioni (Cass. n. 9548/03, n. 22075/07). Anche recentemente, nel regime sull’interpretazione diretta dei c.c.n.l. di cui al d.lgs n. 40/06, questa Corte (Cass. n. 2138/18), in identica fattispecie, ha confermato la sentenza impugnata che riconobbe la spettanza dell’indennità di diaria in misura ridotta di cui all’art. 21 c.c.n.l. del luglio 1976 sulla base di un accertamento di fatto (confortato dal richiamo a specifici precedenti di legittimità: Cass. n. 9548 del 2003 e n. 3921 del 1998), consistente nell’individuazione, sulla base della documentazione versata in atti, della residenza (ai sensi dell’art. 20 dello stesso c.c.n.I.) dei lavoratori ricorrenti, sempre in Napoli alla via N.P., collocandola, in sostanza, nel deposito ove i predetti si recavano quotidianamente per prelevare gli automezzi sui quali prestavano servizio e delle linee, alcune delle quali ricadenti per lunghi tratti in aree extraurbana, alle quali essi erano stati addetti, e quindi ritenendo che, anche a volere intendere in senso “elastico” la nozione contrattuale collettiva di residenza, in quanto relativa non solo alla sede o deposito, bensì anche alla tratta, deve comunque farsi riferimento all’ambito comunale (e, nel caso di specie, al territorio metropolitano della città di Napoli);Che nel caso oggi in esame la Corte di merito ha tuttavia accertato la mancanza di qualunque prova circa lo svolgimento dei turni così come richiesti e tale accertamento non ha formato oggetto di adeguata contestazione da parte dei ricorrenti, che pur lamentando formalmente una violazione delle norme in tema di onere della prova e principio di non contestazione, non sviluppano adeguatamente tali argomenti in sede di ricorso, se non per un fugace e non autosufficiente accenno alla “documentazione estratta dal sito Internet di ANM” e ad altra documentazione versata in atti, di cui non è chiarito adeguatamente il contenuto, impedendo a questa Corte di valutarne la fondatezza. Il ricorso deve essere pertanto rigettato.Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.200,00 per esborsi, €.4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e c.p.a. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Svolgimento di mansioni superiori – Esatta interpretazione delle norme di contrattazione collettiva – Denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi di lavoro – Sindacato in sede di legittimità – lnterpretazione delle clausole in base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale ex art. 1362 c.c. e seguenti – Criterio interpretativo diretto e non canone esterno di commisurazione dell’esattezza e della congruità della motivazione
Rilevato che1. con sentenza del 2.10.2014, la Corte d’appello di Napoli rigettava il gravame proposto da A.A. avverso la decisione del Tribunale di Napoli che aveva respinto la domanda del predetto diretta ad ottenere il riconoscimento del diritto alla qualifica di programmatore, par. 205, coordinatore d’ufficio, o 183, specialista tecnico amministrativo, ed all’inquadramento nel terzo livello, ovvero nella seconda categoria (superiore rispetto alla qualifica di operatore CED parametro 155 ed inquadramento nella 5° categoria);2. la Corte rilevava che l’A. aveva evidenziato come dall’1.11 al 31.12.1999 era stato utilizzato nelle diverse e superiori mansioni di programmatore junior di 4° livello in forza di disposizione di servizio; che, in realtà, a far tempo dal settembre 1999, era stato impegnato in compiti appartenenti al livello ancora superiore, 3° livello, svolgendo in via continuativa mansioni di programmatore in piena autonomia, senza sostituire alcun dipendente assente con diritto alla conservazione del posto;3. la Corte osservava che il lavoratore non aveva descritto in modo analitico le iniziali mansioni svolte in relazione al livello attribuitogli in sede di assunzione, essendosi limitato ad una elencazione dei compiti relativi alle mansioni di appartenenza e che analogamente, in relazione alle superiori mansioni di programmatore junior, difettavano gli elementi descrittivi necessari anche ad evidenziare l’assunto secondo cui le mansioni non erano riconducibili al detto profilo, quanto piuttosto a quello ancora superiore di programmatore di 3° livello. Riteneva che ciò si traduceva nell’impossibilità di realizzare il confronto tra le mansioni concretamente svolte e quelle relative al livello rivendicato, rendendo impossibile intraprendere la valutazione articolata sul procedimento trifasico. Affermava, poi, che, dovendo aversi riguardo, nello specifico settore, a quanto previsto dall’art. 18 del R.D. 148/1931 All. A, difettavano anche le condizioni ivi previste, atteso che la richiamata nota del 28.10.1999, attributiva delle mansioni di programmatore junior, si riferiva a periodo di poco più di un mese (dall’1.11 al 31.12.1999) e che la stessa atteneva a compiti diversi da quelli propri dal livello e profilo professionale giudizialmente rivendicati in via principale;4. non poteva, secondo la Corte, rilevare che lo svolgimento delle superiori mansioni era descritto come protrattosi oltre la scadenza del 31.12.1999, mancando la possibilità di raggiungere la prova della qualità e spessore dei compiti espletati. Da ultimo, non risultava offerto alcun elemento da cui trarre la dimostrazione che il posto su cui aveva operato l’A. si sostanziasse in una situazione di fatto di mancata copertura dello stesso da parte del titolare, eventualmente perdurante per significativi periodi di tempo, senza peraltro alcuna allegazione di un organigramma aziendale idoneo a dimostrare la vacanza del posto;5. non potendo trovare accoglimento la domanda principale, neanche la richiesta avanzata in via subordinata poteva avere differente sorte, essendo omessa ogni domanda diretta specificamente ad ottenere l’inquadramento nella qualifica di programmatore junior, posto che la domanda aveva ad oggetto solo l’inquadramento nel livello superiore di programmatore, come dimostrato anche dal tenore del processo verbale di mancata conciliazione del 25.9.2005, da cui risultava che l’A. aveva rifiutato l’offerta dell’inquadramento cui si riferiva la sua domanda subordinata. La Corte evidenziava, infine, la mancanza di ogni prova della natura dei compiti espletati dopo il 31.12.1999;6. di tale decisione ha domandato la cassazione l’A., affidando l’impugnazione a quattro motivi, illustrati in memoria, resistiti dall’Ente Volturno.Considerato che1. con il primo motivo, si denunzia violazione o falsa applicazione della I. 279/1989, dell’art. 2 dell’ipotesi di accordo di rinnovo del c.c.n.l. autoferrotranvieri del 27.11.00, assumendosi, con riferimento all’elencazione dei profili professionali descritti dalle indicate fonti normative, che la Corte d’appello non avrebbe effettuato un puntuale controllo degli elementi emersi dalle premesse in fatto del ricorso introduttivo e dei precedenti gradi di giudizio, nonchè delle prove per tabulas. Nel motivo si procede ad una descrizione delle aree professionali di cui all’ipotesi di accordo di rinnovo del c.c.n.l. Autoferrotranvieri sottoscritto il 27.11.00 per il periodo 2000-2003, indicandosi i corrispondenti profili professionali ed i parametri di riferimento, adducendosi la mancata effettuazione del procedimento logico giuridico diretto alla determinazione del livello corrispondente alle mansioni espletate;1.2. si richiama, poi, in particolare, l’ordine di servizio n. 8405 del 28.11.1999, che avrebbe dovuto dimostrare la validità dell’assunto dell’istante quanto alla sussistenza di un ordine scritto;2. con il secondo motivo, è dedotta violazione o falsa applicazione dell’art. 244 c.p.c., rilevandosi come la Corte territoriale erroneamente abbia disatteso l’istanza di escutere i testi indicati, ritenendo irrilevanti i capi di prova articolati;3. con il terzo motivo, si ascrive alla decisione impugnata il difetto di motivazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, osservandosi che la Corte avrebbe erroneamente ritenuto che mancassero i requisiti prescritti dall’art. 18 R.D. 148/1931, quando, invece, gli stessi sussistevano ed erano dimostrabili anche con la prova per testi;4. il quarto motivo si incentra sulla deduzione di violazione o falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., dell’art. 18 di cui all’allegato al R.D. 148/1931, sul rilievo che, in primo luogo, anche in ipotesi di coesistenza di mansioni proprie del livello di appartenenza con quelle proprie del livello rivendicato, il giudice del merito avrebbe dovuto attenersi al criterio della prevalenza e sulla base dell’ulteriore assunto che, anche in mancanza dell’ordine scritto, il ricorrente avrebbe avuto comunque diritto a percepire le differenze retributive corrispondenti; si assume che la vacanza del posto avrebbe potuto anche desumersi dalla prolungata adibizione allo svolgimento delle diverse mansioni, indipendentemente dalla previsione dell’ordine scritto e dalla indicazione della durata dell’assegnazione contenuta in tale ordine;5. quanto al primo motivo, va rilevata la mancata trascrizione del contenuto dell’ordine di servizio richiamato, del quale non si indica neanche la sede di rinvenimento nella produzione dei precedenti gradi di giudizio, in dispregio del principio di specificità, secondo il quale il ricorso deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito, (cfr. Cass. n. 27209 del 2017; Cass. n. 12362 del 2006);5.1. il motivo è, poi, eccentrico rispetto alla motivazione della Corte, che ha rilevato la mancanza di ogni descrizione dei compiti specificamente svolti dal lavoratore anche dopo il 31.12.1999, evidenziando l’inammissibilità di capitoli di prova articolati su circostanze estremamente lacunose. Peraltro, l’ordine di servizio richiamato riguardava esclusivamente l’attribuzione di mansioni di programmatore junior di 4° livello, rispetto al quale la Corte ha evidenziato l’assenza di ogni rivendicazione quanto all’inquadramento nel relativo profilo, essendo la pretesa volta ad ottenere il 3° livello e l’altra espressamente rinunziata in sede di conciliazione;5.2. la censura rileva, poi, la violazione del c.c.n.l. e degli accordi richiamati, laddove altro è il tenore delle argomentazioni che sostengono il decisum, non ponendosi alcuna questione in ordine all’esatta interpretazione delle norme contrattualcollettive; erroneo è anche il riferimento contenuto nel motivo all’applicabilità dei criteri ermeneutici in sede di interpretazione delle norme collettive, posto che la denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi di lavoro, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., come modificato dall’art. 2 del d.lgs. 2 febbraio 2006 n.40, è parificata sul piano processuale a quella delle norme di diritto, sicché, anch’essa comporta, in sede di legittimità, l’interpretazione delle loro clausole in base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale (artt. 1362 ss. cod. civ.) come criterio interpretativo diretto e non come canone esterno di commisurazione dell’esattezza e della congruità della motivazione, senza più necessità, a pena di inammissibilità della doglianza, di una specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, né del discostamento da parte del giudice di merito dai canoni legali assunti come violati o di una loro applicazione sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti (cfr. Cass. 6335 del 19.3.2014, Cass. 18946/2014, Cass. 21888/2016, Cass. 17244/2015);6. anche la censura espressa nel secondo motivo è priva di giuridico fondamento, avendo la Corte rilevato l’inammissibilità della prova in quanto articolata su circostanze del tutto generiche, che non avrebbero potuto condurre all’accertamento del diritto rivendicato; peraltro, la norma richiamata attiene al modo di deduzione della prova per testi, che non rileva ai fini indicati nella doglianza;7. il terzo motivo palesa una mera contrapposizione di una diversa ricostruzione degli elementi di fatto emersi dall’istruttoria e la censura è inconferente rispetto alla rilevata genericità della descrizione delle mansioni ed alla evidenziata mancanza degli ulteriori elementi di fatto e di diritto idonei ad integrare le condizioni di operatività dell’art. 18 r. d. 148/91, posto a fondamento della pretesa di riconoscimento del diritto al superiore inquadramento;8. infine, anche le censure avanzate nel quarto motivo sono infondate, sia perché il richiamo all’art. 2103 c.c. è erroneo a fronte della ritenuta applicazione dell’art. 18 R.D., sia perché la motivazione della Corte ha evidenziato come non fosse stata allegata idoneamente l’attività svolta, il che si pone come ostativo rispetto ad ogni altra valutazione circa la sussistenza dei requisiti di cui al cit. art. 18, anche in termini di mancanza dell’organigramma e di indicazione della durata della assegnazione;8.1. pur non ignorandosi l’orientamento di legittimità secondo il quale “nel rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri, in tema di svolgimento di mansioni superiori, pur non applicandosi l’art. 2103 c.c. sulla cd. promozione automatica, ma vigendo ancora l’art. 18 dell’allegato A del r.d. n. 148 del 1931, la pluriennale copertura del posto da parte del lavoratore con qualifica inferiore costituisce elemento presuntivo della relativa vacanza, dell’assenza di una riserva datoriale di provvedervi mediante concorso e dell’idoneità del dipendente all’esercizio delle mansioni superiori, sicché, in linea con l’attenuazione della specialità del rapporto di lavoro in questione in graduale avvicinamento alla disciplina del rapporto di lavoro privato, al lavoratore può essere riconosciuto il diritto all’inquadramento superiore” (in tali termini si esprime Cass. 12601 del 17/06/2016), sono insuperabili le considerazioni svolte circa l’impossibilità di compiere anche il procedimento trifasico, per la mancanza di ogni descrizione analitica delle mansioni svolte;8.2. quanto alla ritenuta erroneità dell’esclusione delle differenze retributive, neanche si indica in che termini analoga questione fosse stata sottoposta al giudice del gravame, ed, in ogni caso, è dirimente quanto osservato dalla Corte territoriale sulla mancata precisa allegazione delle diverse mansioni che si assumono svolte, anche a prescindere dall’indicazione degli ulteriori presupposti necessari per il riconoscimento del diverso inquadramento ai sensi dell’art. 18 r.d. 148/1931 All. A;9. il ricorso va, pertanto, complessivamente respinto;10. le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo;11. sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 115 del 2002;
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.13, comma 1bis, del citato D.P.R., ove dovuto.
Autista di autobus di linea – Turni di lavoro comunicati all’azienda di giorno in giorno – Preavviso non ragionevole – Disagio nella gestione della vita di relazione – Risarcimento del danno non patrimoniale – Normativa sull’orario di lavoro del personale degli automezzi pubblici di linea adibiti al trasporto viaggiatori – Obbligo datoriale di affissione in luoghi accessibili dei turni di servizio – Parametro della ragionevolezza preso a riferimento dal lavoro part-time – Non sussiste – Limiti allo ius variandi dell’imprenditore in tema di orario, non estensibili al contratto di lavoro a tempo pieno
Fatti di causa
- Gli odierni resistenti, tutti dipendenti della società convenuta dal 1° gennaio 2013 con mansioni di autista di pullman di linea, adivano il Tribunale di Aosta per ottenere, per quanto ancora qui rileva: a) il risarcimento del danno non patrimoniale alla vita di relazione causato dalla intempestiva comunicazione dei turni di lavoro; b) il pagamento dell’indennità di trasferta previsto dall’articolo 20B del CCNL autoferrotranvieri per tutti i servizi effettuati con partenza diversa dalla sede di lavoro abituale.
1.1. Tali domande, respinte in primo grado venivano accolte dalla Corte di appello di Torino, con sentenza n. 281/2017 del 12 aprile 2017, che condannava la società datrice di lavoro V. s.p.a. al pagamento delle somme specificate in sentenza per i due suddetti titoli della rivendicazione originaria.
- Con l’atto di appello i lavoratori avevano lamentato che nel periodo da gennaio 2013 a dicembre 2014 i turni di lavoro erano stati comunicati all’azienda di giorno in giorno, ossia con un anticipo non ragionevole, che aveva determinato per gli autisti un disagio nella gestione della vita di relazione; che era illegittima anche l’organizzazione del lavoro pattuita con l’accordo aziendale del 1° dicembre 2014 mediante affissione dei turni il lunedì, il mercoledì e il venerdì, comportando un preavviso inferiore alle 48 ore almeno per i giorni di martedì, giovedì e sabato; che era irrilevante l’approvazione dell’accordo con referendum aziendale, non potendo questo sanare la violazione di norme imperative di rango costituzionale; che doveva essere riconosciuto a ciascun lavoratore il diritto al risarcimento del danno alla persona cagionato dalla illegittima compressione del tempo di riposo e del tempo libero, da ricondursi alla categoria del danno esistenziale, in quanto influente sulla vita di relazione.
2.1. Tale domanda veniva giudicata ammissibile dalla Corte di appello, che respingeva l’eccezione di novità sollevata dalla società appellata, rilevando che, rispetto a quanto dedotto dei ricorsi introduttivi, non era stata introdotta appello una nuova causa petendi, ma soltanto una migliore qualificazione giuridica della pretesa, già chiaramente formulata sin dall’origine.
- Tanto premesso, la Corte di appello osservava che la prova delle modalità di comunicazione dei turni era stata fornita dallo stesso datore di lavoro: prima dell’accordo del 1° dicembre 2014 i turni venivano organizzati ed affissi alle ore 12 del giorno precedente per il giorno successivo e il venerdì alle ore 12 per i giorni di sabato e domenica, nonché alle ore 12 del sabato per il giorno di lunedì; con l’accordo aziendale, invece, i turni venivano organizzati ed affissi il lunedì per il martedì e il mercoledì; il mercoledì per il giovedì e venerdì; il venerdì per il sabato, la domenica e il lunedì.
3.1. Le modalità di comunicazione dei turni, tanto prima che dopo l’accordo aziendale, comportavano un preavviso che non poteva essere definito ragionevole, perché inferiore alle 48 ore di anticipo, ossia inferiore al preavviso previsto per la disciplina del lavoro a tempo parziale (art. 6, commi 4 e 5 d.Igs. 81 del 2015), normativa che seppure non applicabile direttamente alla fattispecie poteva essere utilizzata come parametro della programmazione ragionevole della prestazione lavorativa.
3.2. Le modalità di comunicazione dei turni erano da considerare illegittime, perché contrarie all’art. 10 legge 138 del 1958, interpretato la luce dell’art. 32 della Costituzione, lesive della dignità del lavoratore e produttive di danno non patrimoniale alla vita di relazione (c.d. danno esistenziale).
3.3. Neppure l’esistenza di un accordo aziendale e la sua approvazione referendaria potevano prevalere su disposizioni imperative di legge o su norme di rango costituzionale, quali quelle sopracitate (v. in tal senso anche art. 8, comma 2 bis, d.l. 138 del 2011, conv. in I. n. 148 del 2011).
3.4. Né poteva addossarsi ai lavoratori l’onere di indicare una diversa possibile organizzazione dei servizi aziendali, poiché spetta all’imprenditore organizzare i turni di servizio dei propri dipendenti e la loro tempestiva comunicazione, in modo che sia, ad un tempo, conforme alle norme imperative di legge, rispettoso dei diritti dei lavoratori e satisfattivo delle esigenze aziendali.
- Quanto alla prova del danno alla vita di relazione, osservava la Corte di appello che essa può essere oggetto di presunzione, sulla base di fatti notori, quali l’impossibilità o la notevole difficoltà di organizzare il proprio tempo libero, la vita familiare e le relazioni sociali con anticipo inferiore alle 48 ore.
4.1. In merito al parametro per la liquidazione del danno, trattandosi di danno molto più lieve rispetto a quello rivendicato secondo le Tabelle del Tribunale di Milano, esso può essere determinato equitativamente in 10 euro al giorno per 26 giorni del mese per il periodo gennaio 2013 – novembre 2014, ossia per il periodo durante il quale la comunicazione dei turni da parte della società avveniva con un preavviso sempre inferiore alle 48 ore, e invece in 5 euro al giorno per 26 giornate lavorative al mese per il periodo da dicembre 2014 ad agosto 2015, quando la comunicazione dei turni da parte della società avveniva con preavviso inferiore alle 48 ore per tre giorni alla settimana.
- Quanto all’indennità di trasferta, la Corte di appello riteneva fondata la censura dei lavoratori circa l’interpretazione dell’art. 20B C.C.N.L. autoferrotranvieri di cui alla sentenza di primo grado.
5.1. L’indennità di trasferta, secondo la disciplina contrattuale è corrisposta per i turni di servizio che occasionalmente prendano avvio da una località diversa da quella abituale e che sono considerati tali i servizi effettuati su linee non facenti capo alla residenza del lavoratore. Il concetto di residenza è specificato dal contratto collettivo nel senso che con tale definizione si intende la località assegnata dall’azienda ad ogni singolo lavoratore e tale località era per tutti gli appellanti il deposito di Arnad, restando irrilevante la diversa residenza anagrafica di ciascuno.
5.2. I conteggi elaborati dai lavoratori prendevano in considerazione i servizi giornalmente indicati con partenza da depositi diversi dalla sede di lavoro anzidetta e non erano stati specificamente contestati.
- Per la cassazione di tale sentenza V. s.p.a. ha proposto ricorso affidato a quattro motivi, cui hanno resistito con controricorso i lavoratori.
- Sul ricorso, inizialmente fissato per la trattazione in adunanza camerale, il P.G. ha rassegnato le proprie conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso. Hanno fatto seguito le memorie difensive di entrambe le parti ex art. 380-bis cod. proc. civ..
- All’esito dell’adunanza del 19 giugno 2019 il Collegio ha ritenuto l’insussistenza dei presupposti per la trattazione in sede camerale e ha rinviato la causa a nuovo ruolo per la fissazione della pubblica udienza.
Ragioni della decisione
- Preliminarmente, va rilevato che ciascun motivo, pur a fronte dell’indicazione promiscua delle norme che si assumono violate, risulta articolato in singoli profili di doglianza, formulati in modo tale da consentire di cogliere con chiarezza le censure prospettate e consentirne l’esame separato (cfr. Cass. Sezioni Unite, 9100 del 2015; conf. Cass. n. 7009 del 2017 e molte altre successive).
- Con il primo motivo si denuncia “motivazione contraddittoria e solo apparente” e violazione dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4 cod. proc. civ. per avere la sentenza ammesso il mutamento di domanda introdotto in appello con riguardo al periodo anteriore al 1° dicembre 2014.
Si assume che il ricorso introduttivo non era stato correttamente interpretato in ordine al suo contenuto e che ciò aveva comportato il vizio di ultrapetizione (art. 112 cod. proc. civ.) poiché la Corte, nel pronunciare sull’appello, aveva erroneamente ritenuto ammissibile la domanda anche l’ordine al periodo gennaio 2013-dicembre 2014, in ordine al quale i lavoratori nulla avevano dedotto nell’atto introduttivo del giudizio.
Si assume che per gli stessi motivi la sentenza sarebbe affetta dal vizio di omessa e/o apparente motivazione.
2.1. Con il secondo motivo si denuncia error in iudicando sotto i seguenti aspetti:
- a) l’art. 10 della legge n. 138 del 1958 non statuisce alcun termine per la comunicazione dei servizi, ma si limita ad affermare che “le aziende esercenti devono affiggere i turni di servizio negli uffici, nelle autostazioni, nei depositi e nelle officine in modo che il personale ne possa prendere conoscenza”;
- b) la società svolge anche un servizio pubblico di trasporto dei disabili e quello di noleggio di pullman con conducente e anche solo analizzando il contratto di servizio stipulato con la Regione Autonoma Valle d’Aosta è possibile rilevare che l’Amministrazione regionale indica le corse autorizzate per il trasporto dei disabili alle ore 17 del giorno precedente il servizio;
- c) gli originari ricorrenti avevano lamentato non il fatto che venissero a conoscenza il giorno prima del loro turno di lavoro, ma che non sarebbero stati in grado di conoscere con sufficiente preavviso il turno di riposo;
- d) il d.l. 138 del 2011 consente al contratto aziendale di disciplinare gli orari e i turni di lavoro, anche in peius rispetto alla contrattazione nazionale o a norme di legge;
- e) l’art. 6, commi 4 e 5, d.lgs. 81 del 2015 è norma speciale, non applicabile in via analogica a fattispecie diverse da quelle per le quali è stata dettata.
2.2. Con il terzo motivo si censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto provato il danno richiamando il principio della prova per presunzioni, ma in realtà facendo riferimento ad una situazione di mera potenzialità lesiva, in violazione dell’art. 2697 cod. civ..
Il fatto notorio posto a base del ragionamento è da ritenere frutto di un’ulteriore presunzione, in quanto non è comprensibile la differenza tra un termine di 48 ore ed uno di 24 ore ai fini del coordinamento con gli impegni dei familiari e personali.
2.3. Il quarto motivo denuncia erronea interpretazione dell’art. 20B del CCNL autoferrotranvieri, per avere la sentenza ritenuto che l’indennità di trasferta sia dovuta per tutti i turni che prendono avvio da una sede diversa da quella stabilmente assegnata al lavoratore, anche se più vicina alla sua residenza anagrafica. Si sostiene che la società aveva contestato in primo grado che i ricorrenti avessero come “depositi comandati” tutti quelli indicati negli atti di parte, in quanto la partenza era avvenuta dal deposito previsto in sede di assunzione.
- Il primo motivo è infondato.
3.1. L’interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, per cui, ove questi abbia espressamente ritenuto che una certa domanda era stata avanzata ed era compresa nel thema decidendum, tale statuizione, ancorché erronea, non può essere direttamente censurata per ultrapetizione, atteso che, avendo comunque il giudice svolto una motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione debba ritenersi ricompresa tra quelle da decidere, il difetto di ultrapetizione non è logicamente verificabile prima di avere accertato che quella medesima motivazione sia erronea. In tal caso, il dedotto errore del giudice non si configura come error in procedendo, ma attiene al momento logico relativo all’accertamento in concreto della volontà della parte (Cass. n. 20718 del 2018; Cass. n. 21874 del 2015). Il principio è costante nella giurisprudenza di questa Corte (v. le più risalenti, Cass. n. 3702 e n 8953 del 2006).
3.2. In particolare, nell’interpretazione degli atti processuali delle parti occorre, fare riferimento ai criteri di ermeneutica di cui all’art. 1362 cod. civ., che valorizzano l’intenzione delle parti e che, pur essendo dettati in materia di contratti, hanno portata generale (Cass. n. 4205 del 2014). Inoltre, nel compiere l’interpretazione della domanda giudiziale, il giudice non è condizionato dalle formali parole utilizzate dalla parte, ma deve tener conto della situazione dedotta in causa e della volontà effettiva, nonché delle finalità che la parte intende perseguire, poiché per fondamentale principio logico la volontà è inscritta in ogni parte dell’atto, e per interpretare la domanda giudiziale si applicano gli artt. 1362, secondo comma, e 1363 cod. civ.; dapprima deve essere valutato l’atto in ogni sua parte per ricostruire la volontà che è alla base di esso, e poi devono esser valutati la domanda nel suo complesso ed il comportamento della parte (cfr. Cass. n. 6226 del 2014 e n. 8140 del 2004); occorre dunque avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante (Cass. 21087 del 2015; conf. Cass. 19002 del 2017).
3.3. Nel caso in esame, i giudici di merito hanno interpretato il complessivo tenore del ricorso introduttivo, evidentemente valorizzando un insieme di elementi, anche temporali, nel senso dell’estensione del petitum ad un periodo più ampio di quello regolato dall’accordo aziendale del dicembre 2014, così ritenendo che il thema decidendum corrispondesse a quello oggetto dell’atto di appello.
3.4. A fronte di ciò, l’odierna ricorrente per cassazione non ha proposto un motivo nei termini prescritti, in quanto il vizio di ultrapetizione, prospettato mediante allegazione e trascrizione diretta (di parte) del ricorso originario, sollecita questa Corte ad un nuovo esame del contenuto della domanda introduttiva, senza muovere specifiche censure alla motivazione della sentenza.
3.5. A ciò aggiungasi che la sentenza impugnata ha evidenziato che parte convenuta in primo grado aveva argomentato anche in ordine alle modalità di organizzazione dei turni nel periodo anteriore all’accordo del dicembre 2014 (v. pag. 9 della sentenza). Proprio le argomentazioni della memoria difensiva di primo grado di cui riferisce la sentenza depongono per l’esatta comprensione, anche da parte della convenuta, della esatta portata della domanda introduttiva e per il compiuto esercizio di diritti di difesa al riguardo.
- Il secondo motivo appare meritevole di accoglimento nei termini seguono.
4.1. Preliminarmente, le questioni di cui alle lettere b) e c) del punto 2.1. che precede attengono a temi (ragioni organizzative connesse al trasporto dei disabili e alle convenzioni stipulate con la Regione Autonoma Valle d’Aosta; censure relative alle modalità di comunicazione dei “turni di riposo”) di cui non vi è cenno di trattazione nella sentenza impugnata e che, pertanto, devono ritenersi questioni nuove e come tali inammissibili in questa sede (cfr. tra le altre recentemente Cass. n. 27568 del 2017).
- Il nucleo del motivo investe invece la questione giuridica vertente sui tempi del preavviso di turni lavorativi.
5.1. Quanto all’interpretazione dell’art. 10 della l. 14 febbraio 1958 n. 138, il quale dispone che le aziende esercenti autoservizi pubblici di linea extraurbani adibiti al trasporto dei viaggiatori “devono affiggere i turni di servizio negli uffici’, nelle autostazioni, nei depositi e nelle officine in modo che il personale ne possa prendere conoscenza”, questa Corte ha già avuto modo di affermare che l’obbligo datoriale di affissione in luoghi accessibili dei turni di servizio di cui all’art. 10 della legge n. 138 del 1958 deve essere inteso come volto a consentire al lavoratore di conoscere in via anticipata, in un tempo ragionevole, i propri impegni lavorativi, al fine di una programmazione del proprio tempo di vita (Cass. n. 12962 del 2008, in fattispecie in cui i dipendenti a tempo pieno di una società di pubblici servizi avevano lamentato di essere messi a conoscenza dei turni di servizio senza adeguato anticipo rispetto al giorno di svolgimento della prestazione lavorativa, chiedendo il risarcimento del danno alla vita di relazione).
5.2. Quanto al richiamo fatto dalla società ricorrente all’art. 8, comma 3, d.l. n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, in legge n. 148 del 2011, secondo cui “Le disposizioni contenute in contratti collettivi aziendali vigenti, approvati e sottoscritti prima dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 tra le parti sociali, sono efficaci nei confronti di tutto il personale delle unità produttive cui il contratto si riferisce a condizione che sia stato approvato con votazione a maggioranza dei lavoratori”, è sufficiente osservare che nel caso in esame non si controverte sulla applicabilità o meno del contratto aziendale a tutto il personale dipendente dalla società ricorrente, compresi gli odierni resistenti, ma della ritenuta (dalla Corte di appello) nullità delle relative clausole del contratto aziendale nella parte in cui è previsto un preavviso del turno di servizio anche inferiore a 48 ore. In tal caso, ad avviso della Corte di appello, il preavviso del turno non sarebbe “ragionevole”, dovendo assumersi a parametro della ragionevolezza la regola posta dal d.lgs. 81 del 2015 per il lavoro part-time.
5.3. Rileva piuttosto l’art. 8, comma 2-bis, legge n. 148 del 2011, di conversione del d.l. n. 138 del 2011, richiamato dalla Corte territoriale, secondo cui «2-bis. Fermo restando il rispetto della Costituzione, nonche’ i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche intese di cui al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro». La deroga alle disposizioni di legge ad opera dei contratti collettivi di cui all’art. 8 cit. trovano il limite del “rispetto della Costituzione” e dei “vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro”.
- Tutto ciò premesso, venendo al parametro assunto dalla Corte territoriale a fondamento del decisum, va osservato che il d.lgs. 81 del 2015 dispone, al quarto comma dell’art. 6, che “Nel rispetto di quanto previsto dai contratti collettivi, le parti del contratto di lavoro a tempo parziale possono pattuire, per iscritto, clausole elastiche relative alla variazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa ovvero relative alla variazione in aumento della sua durata” e, al quinto comma dell’art. 6, che “Nei casi di cui al comma 4, il prestatore di lavoro ha diritto a un preavviso di due giorni lavorativi, fatte salve le diverse intese tra le parti, nonché a specifiche compensazioni, nella misura ovvero nelle forme determinate dai contratti collettivi”.
6.1. Invero, l’analogia posta tra la prestazione di lavoro a tempo parziale e quello a tempo pieno non è stata ritenuta accreditabile in alcune pronunce di questa Corte (v. Cass. n. 4502 del 1993 e 23552 del 2004). Secondo tale orientamento, qui condiviso e ribadito, in tema di orario di lavoro, i limiti allo ius variandi dell’imprenditore nei contratti di lavoro part time – nei quali la programmabilità del tempo libero (eventualmente in funzione dello svolgimento di un’ulteriore attività lavorativa) assume carattere essenziale e giustifica l’immodificabilità dell’orario da parte datoriale – non sono estensibili al contratto di lavoro a tempo pieno, nel quale un’eguale tutela del tempo libero del lavoratore si tradurrebbe nella negazione del diritto dell’imprenditore di organizzare l’attività lavorativa, diritto che può subire limiti solo in dipendenza di accordi che lo vincolino o lo condizionino a particolare procedure (Cass. 16 aprile 1993 n. 4507).
6.2. Sotto questo profilo, è fondata la critica formulata dalla società ricorrente alla decisione impugnata, laddove contesta l’analogia posta dalla Corte territoriale a fondamento della estensione ai lavoratori a tempo pieno della regola dettata dal legislatore per i lavoratori part-time.
- Il d.lgs. n. 66 del 2003 non ha introdotto elementi di novità in tema di potere datoriale di determinare o di variare unilateralmente la collocazione e coordinamento temporale della prestazione lavorativa, che tuttavia non può essere totalmente discrezionale, dovendo pur sempre conformarsi al principio di buona fede e correttezza, oltre che al rispetto dei canoni costituzionali, sebbene non sussista in linea generale un diritto soggettivo del dipendente alla stabilità dell’orario di lavoro.
- In dottrina si è osservato che il lavoratore a tempo pieno, a differenza di quello a tempo parziale, percepisce un trattamento retributivo che per definizione dovrebbe porlo in condizione di soddisfare le proprie esigenze personali e familiari senza dovere ricercare altre occasioni di guadagno o dover usufruire di spazi temporali liberi dal lavoro per svolgere quelle attività di cura o di lavoro domestico che la ridotta retribuzione non gli consentono di acquisire pagando i relativi servizi. Ciò non toglie tuttavia che la possibilità del datore di mutare la dislocazione dell’orario lavorativo del rapporto lavorativo incontra innanzitutto il limite rappresentato da contratti collettivi che lo vincolino a determinate procedure.
- La sentenza di questa Corte n. 12962 del 2008 richiamata dalla Corte di appello e dai controricorrenti, nel cassare la sentenza impugnata, ha esaminato una fattispecie in cui mancava una norma che specificasse il tempo necessario per una adeguata conoscenza preventiva e ha ritenuto non adeguata una comunicazione dell’inizio del turno lavorativo avvenuta soltanto il giorno precedente. Nel caso in esame, una regola è stata introdotta dal contratto collettivo aziendale del 1° dicembre 2014.
- Diversamente da quanto implicitamente ritenuto dalla Corte di appello di Torino, deve escludersi la nullità della clausola del contratto collettivo aziendale approvato a maggioranza dei lavoratori, ai sensi 8, comma 3, d.l. n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, in legge n. 148 del 2011, che ha articolato il preavviso mediante un coordinamento delle esigenze aziendali con quelle dei dipendenti, riconoscendo un preavviso di 48 ore per quattro giorni alla settimana. Tale previsione non contrasta con alcuna norma inderogabile, né con parametri costituzionali, in quanto articola le comunicazioni dei turni in modo da consentire comunque al lavoratore una programmazione e un’organizzazione periodica del tempo libero nell’arco della settimana.
- Per quanto attiene al periodo anteriore all’accordo aziendale, la sentenza impugnata si fonda sulla considerazione che la disciplina unilaterale del datore di lavoro comprimeva eccessivamente la possibilità di organizzazione, pianificazione e programmazione dei tempi di vita del lavoratore. Sostanzialmente ha ritenuto che se è evidentemente consentito al datore di lavoro, in relazione a sue specifiche esigenze, organizzare l’attività in turni di servizio, ciò nonostante, pur in assenza di disposizioni specifiche di legge o di contratto, questi devono essere portati a conoscenza dei lavoratori con un ragionevole anticipo così da consentire loro una programmazione del tempo di vita.
11.1. Tuttavia, il parametro assunto dalla Corte di appello a riferimento per ritenere la violazione di un preavviso ragionevole, ossia il parametro normativo previsto per il rapporto di lavoro part-time, non è utilizzabile, per tutte le ragioni sopra illustrate. Ne consegue che anche su tale capo la sentenza va cassata, in quanto la ritenuta violazione si fonda su un criterio inidoneo a sostenerla.
- Tutto quanto finora detto porta all’accoglimento del secondo motivo restando assorbito il terzo che verte sul risarcimento del danno, il quale è condizionato alla nuova valutazione di merito demandata al giudice di rinvio.
- Il quarto motivo è in parte inammissibile, in quanto incentrato nella riproposizione degli assunti della memoria difensiva di parte convenuta e della motivazione della sentenza di primo grado, a loro volta entrambi vertenti principalmente sul difetto di prova dei presupposti di fatto relativi all’indennità rivendicata piuttosto che sulla interpretazione delle norme di riferimento.
13.1. Quanto alla contestazione in fatto relativa alle indicazioni dei luoghi di comando diversi dalla residenza di servizio, trattasi di questione che attiene alla disamina delle prove documentali, ossia a valutazione delle risultanze istruttorie, di competenza del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità.
13.2. Il motivo e’ infondato quanto all’interpretazione dell’art. 20b del CCNL autoferrotranvieri di cui alla sentenza impugnata, tenuto conto del concetto di “residenza”, che è “la località assegnata dall’azienda ad ogni singolo lavoratore”, e dei presupposti per l’erogazione dell’indennità di trasferta, che spetta “al personale viaggiante inviato in servizio occasionale diverso da quello abituale: sono considerati occasionali i servizi effettuati su linee non facenti capo alla residenza del lavoratore”.
- In conclusione, va accolto il secondo motivo, con assorbimento del terzo, mentre vanno rigettati il primo e il quarto.
14.1. La sentenza va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per quanto attiene alla regolazione delle spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Torino in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo, assorbito il terzo; rigetta il primo e il quarto. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Torino in diversa composizione.
Rapporto di lavoro – Conducente di autobus – Indennità di agente unico – Differenze economiche – Diritto – Riconoscimento
Rilevato che
- C., dipendente della C. s.r.l., azienda concessionaria del servizio di trasporto regionale, con mansioni di conducente di autobus addetto sia alla guida che al rilascio dei biglietti con incasso (agente unico) ha agito per il riconoscimento del diritto alle differenze economiche per il mancato adeguamento della predetta indennità a far tempo dal 1990. La Corte di appello di Napoli, con sentenza n. 1475 depositata il 13.3.2013, confermando la pronuncia di prime cure, ha respinto la domanda dichiarando che l’indennità di agente unico, da corrispondere mensilmente in misura pari a venti minuti della retribuzione normale dell’autista di VII livello con tre scatti di anzianità, non è suscettibile di adeguamento alle variazioni di tale retribuzioni essendo stata “congelata” in cifra fissa dall’accordo nazionale 2.10.1989 (nonché di quello del 1995);2. avverso tale sentenza il lavoratore ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a due motivi;3. la società E.A.V. s.r.l. (che ha incorporato la C. s.r.l.) ha depositato controricorso nonché proposto ricorso incidentale affidato a tre motivi, illustrati da memoria;Considerato che1. con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del punto 18 dell’accordo nazionale 2.10.1989 e dell’art. 13 del CCNL Autoferrotranvieri 1995, assumendo che nell’escludere il diritto alla rivalutazione dell’emolumento, e nell’accogliere la prospettazione del congelamento dell’indennità, la Corte territoriale non ha tenuto conto della formulazione letterale delle citate disposizioni che hanno cristallizzato la misura di tutti gli elementi retributivi espressi in percentuale (quindi, con esclusione dell’indennità di agente unico, rapportata a venti minuti di retribuzione tabellare), della natura speciale ossia di istituto retributivo di livello locale, della composizione di detta indennità (che, in quanto composta da tre scatti di anzianità, non è “congelabile”);2. con il secondo motivo il ricorrente denuncia erronea interpretazione e falsa applicazione degli accordi contrattuali 12.12.1972, 29.2.1980, 18.11.1998, 17.12.2003, avendo, la Corte territoriale, errato nel ritenere la giornata di lavoro come unica condizione temporale da considerare per l’erogazione dell’indennità, collegata, invece, alla particolare ed effettiva modalità di espletamento della prestazione lavorativa;3. i motivi, che possono essere trattati congiuntamente in considerazione della stretta connessione, non sono fondati, avendo questa Corte affermato, con orientamento consolidato che questo collegio condivide (cfr. Cass., Sez. VI, n. 20966 del 2014; successivamente, ex plurimis, Cass. Sez. VI n. 1804 del 2015, Cass. n. 19773 del 2016, Cass., Sez. VI, n. 8301 del 2017, Cass. n. 7790 del 2017), che il punto 18 dell’accordo nazionale del 2.10.1989, con la quale le parti sociali hanno inteso distinguere tra retribuzione normale, rivalutabile, e altri compensi, nazionali o aziendali, congelati, non palesa ambiguità escludendo dalla possibilità di rivalutazione, o adeguamento, ogni altro compenso, nazionale e aziendale, eventualmente espresso in misura percentuale, congelato in cifra fissa, quella ormai cristallizzata;4. gli accordi nazionali – intervenendo sul complesso della retribuzione percepita dai dipendenti – distinguono le voci retributive in due gruppi; ebbene, il primo riguarda voci nominativamente indicate (APA, lavoro straordinario, festivo, notturno, indennità di trasferta e di diaria ridotta e TFR) e non include l’indennità di agente unico, e la cristallizzazione disposta dalle norme riguarda tutti i compensi che non siano stati espressamente elencati nella prima parte della previsione, “eventualmente”, e quindi non necessariamente, espressi in percentuale, tra cui sicuramente rientra l’indennità di agente unico, il cui importo veniva rivalutato in forma parametrica;5. non è fondata nemmeno l’argomentazione incentrata sull’estraneità, alle previsioni collettive nazionali, dell’indennità della quale si discute, in virtù di un preteso carattere meramente locale (regionale) del sistema agente unico, avendo la contrattazione collettiva nazionale avocato a sé la determinazione dei livelli retributivi, al fine di risanare i bilanci aziendali e ridurre, così, l’onere del loro ripianamento a carico della finanza pubblica, pur demandando, al contempo, alla contrattazione aziendale il compito di realizzare interventi per ottenere incrementi di produttività, da destinare al risanamento del bilancio, agli investimenti, nonché, per la restante quota, al trattamento dei dipendenti (arg. ex. Cass. 4257/2004);6. l’evidenza che la sostituzione della coppia autista-bigliettaio con agente unico si iscrive nelle misure devolute alla contrattazione aziendale, per ottenere incrementi di produttività, non toglie che il sistema agente unico, e il relativo compenso, rivesta una dimensione trascendente l’ambito locale, e regionale, nel quale si colloca la vicenda in esame, come del resto comprovano le disposizioni dei contratti collettivi di settore per le aziende che intendessero procedere all’istituzione del sistema ad agente unico (v. artt. 48A, 48B, 48C C.C.N.L. autoferrotranvieri 23 luglio 1976);7. l’ambito locale dell’indennità in questione risulta, peraltro, smentito dal ridetto fondamento negoziale collettivo, e non normativo regionale, dell’emolumento per il quale la normativa regionale di riferimento esplica la sua efficacia nella regolamentazione del rapporto fra ente concedente (la Regione) e l’azienda di trasporto (concessionaria), limitandosi a fissare i criteri di quantificazione dei contributi annualmente riconosciuti dall’ente concedente alla società concessionaria senza in alcun modo incidere sulla disciplina del rapporto di lavoro, regolamentato dalla contrattazione, nazionale ed aziendale, di primo e secondo livello;8. in ordine al ricorso incidentale proposto dalla società, i motivi censurano solo alcune delle rationes decidendiposte dalla Corte di merito a fondamento del rigetto dell’appello incidentale proposto dalla società, con conseguente inammissibilità, per difetto di interesse, delle censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime, quand’anche fondate, non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre non impugnate, all’annullamento della decisione stessa (ex multis, Cass. S.U. n. 7931/2013; Cass. 18/09/2006, n. 20118);9. in particolare, i motivi non investono l’affermazione contenuta nella impugnata sentenza secondo cui la domanda di restituzione delle somme versate in eccesso era generica, sin dal primo grado, quanto alla causa petendi, e tale erogazione aveva assunto gli estremi di un uso aziendale;10. in conclusione, i ricorsi vanno rigettati e le spese di lite sono compensate per metà in ragione della reciproca soccombenza, con condanna del ricorrente principale alla restante metà pari a euro 100,00 per esborsi ed euro 1.800,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge;11. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte di entrambi i ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).P.Q.M.Rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale, compensa per metà le spese di lite fra le parti e condanna il ricorrente principale al pagamento della restante metà, pari a euro 100,00 per esborsi e a euro 1.800,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte di entrambi i ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Rapporto di lavoro – Autoferrotranvieri – Licenziamento disciplinare – Disciplina speciale – Proporzionalità della sanzione
Svolgimento del processo
Con sentenza del 3.10 – 25.11.2013 la Corte d’appello di Palermo ha confermato la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Sciacca, impugnata da R.V., il quale si era lamentato del rigetto della domanda tesa all’annullamento del licenziamento disciplinare intimatogli dalla società A.G. s.r.I., società di trasporto extra-urbano alle cui dipendenze il lavoratore aveva prestato servizio con le mansioni di autista.
Il licenziamento era stato intimato in quanto il R. aveva lasciato in sosta col motore acceso un “bus di linea” che si era messo improvvisamente in moto travolgendo un’autovettura aziendale e sfondando il muro di cinta dell’autoparco, provocandone il crollo sulla pubblica via.
La Corte palermitana ha ritenuto nuova la doglianza riflettente l’omessa sussunzione della fattispecie disciplinare nella previsione dell’art. 42, comma 10, del Regio Decreto n. 148 del 1931, dal momento che in primo grado il ricorrente aveva lamentato la violazione del relativo procedimento previsto dal citato decreto regio, nel senso che a suo giudizio era stata disapplicata tale normativa nella parte in cui la stessa riservava al Consiglio di disciplina l’adozione delle sanzioni, mentre nel caso in esame tale determinazione era stata adottata dal Presidente della società. In ogni caso, secondo la Corte di merito, il requisito della proporzionalità della sanzione era stato rispettato.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso il R. con un solo articolato motivo, illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Resiste con controricorso la società A.G. s.r.I.
Motivi della decisione
Con un solo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 345, 112 e 113, primo comma, c.p.c., dell’art. 12 del R.D. n. 262/1942 e degli artt. da 37 a 58 del R.D. n. 148/1931, con riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c.
Il ricorrente assume che la Corte di merito è incorsa in errore nel ritenere inammissibile, in quanto nuova, la doglianza proposta in appello con la quale si era prospettata la riconducibilità della clausola disciplinare oggetto di causa all’ipotesi di cui all’art. 42, comma 10, del R.D. n. 148 del 1931. Secondo il ricorrente non vi era stata, invece, violazione del principio devolutivo, atteso che nel secondo grado di giudizio il diritto azionato, la disciplina di legge invocata e la pretesa avanzata erano gli stessi del giudizio di prime cure, per cui non era stato introdotto alcun tema nuovo d’indagine.
Quindi, secondo il ricorrente, la Corte territoriale non avrebbe dovuto sottrarsi alla cognizione della fattispecie dedotta secondo i principi di cui all’art. 113, primo comma, c.p.c. e 12 del R.D. n. 262/1942 ed avrebbe dovuto applicare la disciplina speciale che regola il rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri.
Il motivo è infondato.
Invero, correttamente la Corte d’appello ha ravvisato la violazione del principio dell’effetto devolutivo dell’impugnazione nel momento in cui ha adeguatamente posto in evidenza che in primo grado il ricorrente aveva lamentato la disapplicazione del Regio Decreto n. 148/1931 nella parte in cui riservava l’adozione delle “punizioni per le mancanze di cui agli artt. 43, 44 e 45 alla deliberazione del Consiglio di Disciplina”, assumendo che tale potere era stato, invece, esercitato dal Presidente della società, mentre la doglianza formulata in sede di gravame concerneva la diversa questione della mancata riconduzione della clausola disciplinare nella previsione di cui all’art. 42, comma 10, del R.D. n. 148/1931.
In effetti, la correttezza del rilievo effettuato dalla Corte territoriale risiede nella giusta considerazione che attraverso quest’ultimo tipo di censura svolto in appello veniva, in realtà, ad essere introdotto un nuovo tema d’indagine, in quanto questo non era più radicato, come in primo grado, sulla denunziata illegittimità del licenziamento per l’asserita violazione di determinate norme procedimentali proprie della disciplina speciale degli autoferrotranvieri, bensì sulla doglianza riflettente la diversa questione di carattere sostanziale della riconducibilità della clausola disciplinare alla differente previsione dell’art. 42, comma 10, del citato Regio Decreto ai fini dell’applicazione di una misura conservativa.
Né ha rilievo alcuno la censura secondo cui la Corte di merito si sarebbe, in tal modo, sottratta al compito di esaminare la fattispecie, con particolare riguardo alla proporzionalità della sanzione, alla luce della disciplina speciale che regola il rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri, posto che la individuazione della normativa applicabile nel caso concreto rientra nelle prerogative del giudicante. Pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.
Ricorrono i presupposti per il pagamento del contributo unificato di cui in dispositivo da parte del ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di € 3500,00 per compensi professionali e di € 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Licenziamento
- Con ricorso, depositato il 14.06.2005, R.N., conducente di linea alle dipendenze della SAIA TRASPORTI S.p.A. di Brescia, impugnava il provvedimento di risoluzione del rapporto di lavoro adottato nei sui confronti ai sensi del R.D. n. 148 del 1931,art. 45, comma 16, All. A), in relazione al assenza arbitraria dal servizio per oltre cinque giorni.
La vicenda è da ricondurre ad arresto improvviso del R. per condanna penale per omicidio colposo e alla conseguente assenza dal lavoro, che il dipendente giustificava con problemi personali invocati per ottenere aspettativa fino alla scarcerazione, mentre la datrice di lavoro gli contestava assenza ingiustificata e, in mancanza di chiare spiegazioni, provvedeva al suo licenziamento.
- Il Tribunale di Brescia con sentenza n. 326 del 2009 annullava il licenziamento e condannava la società datrice di lavoro alla riassunzione del R. e alla corresponsione di tutte le retribuzioni nel frattempo maturate, non essendovi correlazione tra contestazione degli addebiti e motivazione del provvedimento espulsivo e tenuto conto delle giustificazioni date dal R. circa la sua assenza dal lavoro.
- Tale decisione, impugnata dalla società, è stata parzialmente riformata dalla Corte di Appello di Brescia con sentenza n. 181 del 2010. che ha condannato la datrice di lavoro alla reintegrazione del lavoratore e al risarcimento del danno nella misura di cinque mensilità globali di fatto, nonchè al pagamento delle retribuzioni, maturate dalla data del tentativo di conciliazione (18 maggio 2005) fino all’effettivo reintegro, oltre accessori, e alla regolarizzazione contributiva ed assicurativa.
La Corte ha così argomentato:
– il R. in data 17.11.2004 avvertiva l’azienda di essere trattenuto dai Carabinieri e di non poter riprendere servizio per qualche giorno;
– il provvedimento restrittivo penale doveva qualificarsi come causa di impossibilità sopravvenuta ex art. 1464 c.c.;
– l’azienda avrebbe dovuto – per giustificare il licenziamento – motivare sulla carenza di interesse a proseguire il rapporto di lavoro con il R.: il che non era dato riscontrare;
– la L. n. 300 del 1970, art. 7, contrariamente all’assunto della società, è applicabile anche nell’ambito del trasporto pubblico;
– il risarcimento del danno poteva essere contenuto nella misura di cinque mensilità della retribuzione,in quanto le ragioni dell’illegittimità del licenziamento erano state chiarite non immediatamente.
- La SAIA TRASPORTI ricorre per cassazione con sei motivi, illustrati con memoria ex art. 378 CPC. Il R. resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1.1 Con il primo motivo la ricorrente lamenta vizio di motivazione circa un fatto controverso e decisivo, riguardante la comunicazione del lavoratore all’azienda dell’assenza dal lavoro dovuta a fatto del terzo (cattura da parte dei Carabinieri in esecuzione di ordine di carcerazione per espiazione di pena detentiva).
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione del R.D. n. 148 del 1931, art. 45, comma 16, nonchè dell’art. 1464 c.c., con riferimento alla valutazione dell’impedimento del lavoratore in relazione al suo stato di detenzione, che si assume essere stato tenuto nascosto. Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione dell’anzidetta norma con riferimento all’assenza di oltre cinque giorni, posto a base del licenziamento.
1.2. Le censure, contenute negli esposti motivi da esaminarsi congiuntamene per la loro stretta correlazione, sono infondate.
Va premesso al riguardo che in base ad un principio di carattere generale non è sufficiente la giustificazione dell’assenza dal lavoro per il primo giorno, occorrendo la giustificazione in tal senso anche per tutti i restanti giorni.
Orbene nel caso di specie è risultato che per il primo giorno non vi fu giustificazione dell’assenza dal servizio del R. o la stessa fu ambigua, mentre per i restanti quattro giorni lo stesso lavoratore, proprio perchè detenuto, si trovò nell’impossibilità di chiarire con la direzione aziendale la sua posizione.
In questa situazione correttamente il giudice i appello ha richiamato l’orientamento giurisprudenziale, secondo cui un provvedimento restrittivo della libertà personale, che impedisce contatti personali con l’esterno, deve qualificarsi come causa di impossibilità sopravvenuta temporanea della prestazione lavorativa, in ordine alla quale opera il meccanismo legale della sospensione del rapporto di lavoro, che rimane in quiescenza, finchè non cessi l’impedimento e (‘azienda non dimostri che sia venuto meno il suo interesse alla prosecuzione del vincolo contrattuale (cfr Cass. n. 22536 del 5 settembre 2008 ed altre conformi decisioni).
Tale valutazione non risulta effettuata dalla società datrice di lavoro prima dell’intimazione del licenziamento al R., dal che correttamente il giudice di merito ha dedotto l’illegittimità del licenziamento.
- Con il quarto motivo la ricorrente contesta l’impugnata sentenza, per avere ritenuto applicabile – ai fini del risarcimento del danno conseguente a licenziamento illegittimo – la L. n. 300 del 1970,art. 18, laddove nel caso di specie, trattandosi di autoferrotranviere, la disciplina da prendere in considerazione è quella speciale del R.D. n. 148 del 1931.
Il motivo è infondato.
Al riguardo è condivisibile l’assunto del giudice di appello, che, in conformità ad orientamento di questa Corte (in particolare Cass. n. 10303 del 17 maggio 2005), ha ritenuto che tutte le sanzioni, comprese o meno formalmente tra quelle disciplinari dal R.D. n. 148 del 1931, non possano che venire contestate secondo quanto previsto dalla L. n. 300 del 1970, art. 7. Tale norma attribuisce al lavoratore una garanzia più ampia di quella prevista dalle norme contrattuali e si sostituisce alla normativa pattizia, in quanto una eventuale sottrazione di una categoria di lavoratori lederebbe gli interessi protetti dagli artt. 4 e 36 Cost..
Va ribadito che la specialità del rapporti degli autoferrotranvieri non può estendersi fino al punto di riservare al lavoratore un trattamento deteriore in materia di garanzie costituzionalmente rilevanti, con la conseguenza che la nuova disciplina di livello legislativo sostituisce la precedente, meno garantista e di livello contrattuale.
- Con il quinto motivo la ricorrente lamenta falsa applicazione dell’art. 1218 c.c., non essendo sufficiente richiamare l’eventuale illegittimità del licenziamento per ottenere il risarcimento, ma essendo necessaria la prova del danno subito in relazione al comportamento del datore di lavoro, nonchè la dimostrazione dell’offerta della prestazione, cui faccia riscontro un rifiuto della stessa e conse-guentemente il verificarsi della mora accipiendi, in forza della quale chiedere il risarcimento.
La doglianza non è fondata, avendo la Corte territoriale fatto buongoverno della L. n. 300 del 1970, art. 18, giacchè, accertata l’illegittimità del licenziamento, ha applicato il regime sanzionatorio previsto da tale norma, con la condanna della società datrice di lavoro al risarcimento del danno nella misura minima di cinque mensilità della retribuzione globale di fatto.
- Con il sesto motivo la ricorrente denuncia violazione del R.D. n. 148 del 1931,art. 27, del D.Lgs. n. 414 del 1996,art. 3, punto b), della L. n. 154 del 1982, art. 6. La censura cosi formulata è priva di pregio e va disattesa, in quanto l’impugnata sentenza (cfr pag.
10) ha puntualizzato, con congrua e logica motivazione e rispondendo al rilievo dell’appellante società, che l’argomentazione, secondo cui il R. non avrebbe potuto essere reintegrato nelle mansioni di conducente di pullman per ragioni di età (superamento di anni 60), non era condivisibile, perchè in atti non solo vi era prova del rilascio dell’autorizzazione amministrativa a seguito di revisione, ma perchè la reintegrazione avrebbe potuto essere attuata anche in mansioni equivalenti, e non necessariamente di guida.
- In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 12 novembre 2014.
Malattia professionale
Svolgimento del processo
Con sentenza depositata il 14.9.07 la Corte d’appello di Roma rigettava il gravame interposto da D.D. contro la pronuncia con cui il 3.3.03 il Tribunale capitolino aveva respinto la sua domanda di risarcimento dei danni biologico e morale patiti per effetto di malattia professionale, domanda proposta con ricorso notificato il 29.10.01 nei confronti della CO.TRAL. Compagnia Trasporti Laziali – Società Regionale S.p.A., alle cui dipendenze aveva lavorato come autista di linea.
I giudici di primo e secondo grado ritenevano l’azione risarcitoria estinta dalla prescrizione quinquennale di cui all’art. 2948 c.c., richiamato dalla L. 24 luglio 1957, n. 633, art. unico, comma 4, sul trattamento del personale delle aziende esercenti pubblici servizi di trasporto, termine nella specie decorrente dal 14.10.96, data di presentazione, da parte del lavoratore, della domanda di riconoscimento della malattia professionale.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre il D. affidandosi a tre motivi.
La CO.TRAL. Compagnia Trasporti Laziali – Società Regionale S.p.A. resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 24 e 32 Cost., del R.D. n. 148 del 1931, art. 10, comma 4, come modificato dalla L. n. 633 del 1957, art. unico, in relazione agli artt. 1218, 2059, 2087, 2946 e 2948 c.c., nonchè vizio di motivazione, per avere l’impugnata sentenza ritenuto applicabile al lavoratore autoferrotranviere il termine quinquennale (anzichè quello decennale) di prescrizione dell’azione risarcitoria per danno biologico e morale nei confronti del datore di lavoro, erroneamente equiparando tale domanda, sol perchè avente ad oggetto il pagamento di una somma di denaro, a quelle per competenze arretrate e altre prestazioni di natura esclusivamente patrimoniale.
Con il secondo motivo si prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e degli artt. 1218, 2043, 2087, 2946, 2947, 2948 e 2959 c.c., nonchè vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale applicato il termine quinquennale di prescrizione esaminando la domanda esclusivamente con riferimento all’art. 2043 c.c., e non anche con riferimento all’inadempimento contrattuale del datore di lavoro in relazione al debito di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c., pur invocato dal ricorrente.
Con il terzo motivo ci si duole di violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e degli artt. 2059, 2087, 2935, 2043, 2946, 2947 e 2948 c.c., nonchè di vizio di motivazione, per avere l’impugnata sentenza escluso che la convocazione innanzi all’UPLMO per il tentativo di conciliazione ex art. 410 c.p.c., interrompa la prescrizione, per altro senza che la società convenuta abbia mai negato di essere stata convocata (convocazione che risultava dal verbale di mancata conciliazione) e senza che la CO.TRAL. abbia mai eccepito l’improcedibilità della domanda per omesso esperimento del previo tentativo di conciliazione; a ciò deve aggiungersi – conclude il ricorrente – che la Corte territoriale, nell’individuare il dies a quo della decorrenza della prescrizione, ha trascurato che il D. ha avuto certezza della malattia soltanto il 7.6.06, data della sentenza della Corte d’appello di Roma che ha riconosciuto, in riforma della pronuncia di prime cure, l’origine professionale della malattia medesima; da ultimo, il ricorrente censura la mancata ammissione di una CTU volta ad accertare il nesso causale fra patologia e condotta del datore di lavoro, con percentualizzazione del danno.
2 – I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente perchè connessi, sono fondati.
Si premetta che l’abrogazione della L. n. 633 del 1957, ad opera del D.L. n. 112 del 1908, è irrilevante nel caso di specie, essendo intervenuta dopo la notifica del ricorso introduttivo di lite (sicchè o il diritto era già prescritto a quella data o non può esserlo stato successivamente, visto l’effetto interruttivo permanente della notifica del ricorso).
Del pari irrilevante è affermare che nel caso di specie la fonte dell’obbligazione risarcitoria sarebbe un illecito permanente (come sostenuto nella memoria ex art. 378 c.p.c., depositata dal ricorrente), atteso che dalla sentenza impugnata risulta che le mansioni di guida considerate quale causa del danno sono comunque cessate nel 1995, vale a dire prima del dies a quo del termine di prescrizione, che nella specie la Corte territoriale ha individuato nel 14.10.96.
Ciò detto, si consideri che la L. n. 633 del 1957, art. unico, comma 4, stabilisce che nei rapporti di lavoro soggetti alle norme del R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, il diritto a competenze arretrate e ad altre prestazioni di natura esclusivamente patrimoniale si prescrive nel termine previsto negli artt. 2948, 2955 e 2956 c.c..
Ciò detto, ritiene questa S.C. di dover dare continuità all’insegnamento già espresso da Cass. 25.11.81 n. 6262, secondo il quale “Nel campo del rapporto di lavoro dei ferrotranvieri ed equiparati, per domanda giudiziale relativa a diritti esclusivamente patrimoniali – soggetta alla prescrizione quinquennale ex art. 2948 c.c., n. 4 – deve intendersi ogni pretesa che, a differenza di quelle aventi natura patrimoniale soltanto come effetto meramente riflesso e consequenziale, abbia come petitum, e cioè come oggetto immediato e diretto, il pagamento di una determinata somma di danaro, ancorchè la controversia investa non solo il quantum, ma anche l’an del credito vantato, ed ancorchè, ai fini della decisione, occorra necessariamente esaminare, in via preliminare, questioni di per sè prive di un immediato e diretto contenuto patrimoniale”. (nello stesso senso v., altresì, Cass. 9.7.76 n. 2632; Cass. n. 4085/74;
Cass. n. 3283/73; Cass. n. 257/73; Cass. n. 2027/69).
Nel caso di specie è indubbio che il risarcimento del danno biologico costituisce mero effetto patrimoniale riflesso della violazione del diritto, di natura non patrimoniale, all’integrità psicofisica del lavoratore, diritto che costituisce oggetto della tutela in via giudiziaria invocata dall’odierno ricorrente.
Per di più, la contraria esegesi accolta dall’impugnata sentenza trascura che l’esplicito rinvio – contenuto nella L. n. 633 del 1957, art. unico, comma 4, – ai termini di prescrizione previsti dagli artt. 2948, 2955 e 2956 c.c., obiettivamente evoca termini relativi a diritti di natura non risarcitoria e che l’assoggettare ad un termine breve il credito risarcitorio da danno biologico del dipendente di azienda ferrotranviaria si risolverebbe in un’interpretazione suscettibile di determinare un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto a quello riconosciuto ad altri lavoratori subordinati cui, invece, si applica il termine decennale di prescrizione in caso di credito derivante da inadempimento contrattuale del debito di sicurezza previsto dall’art. 2087 c.c. (cfr. Cass. 30.3.11 n. 7272).
Oltre ad essere costituzionalmente conforme, la conclusione per cui il termine di prescrizione di cui alla cit. L. n. 633 del 1957, art. unico, comma 4, si riferisce a diritti di natura lato sensu retributiva e non a diritti di natura risarcitoria per violazione del diritto alla salute è altresì avvalorata dal rilievo che la norma menziona espressamente solo “competenze arretrate” e altre “prestazioni, con ciò suggerendo il riferimento esclusivo a diritti di credito costituenti oggetto del normale sinallagma funzionale del rapporto di lavoro.
Ne consegue che, tenuto conto del dies a quo del termine prescrizionale individuato dalla sentenza impugnata (14.10.96), alla data di notifica del ricorso introduttivo della lite (29.10.01) la prescrizione decennale non era ancora maturata.
3 – L’accoglimento dei primi due motivi di ricorso assorbe la disamina del terzo.
4 – In conclusione, accolti i primi due motivi di ricorso e assorbito il terzo, la sentenza impugnata è da cassarsi in relazione ai motivi accolti, con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che dovrà attenersi al seguente principio di diritto: “La L. n. 633 del 1957, art. unico, comma 4, – secondo il quale nei rapporti di lavoro soggetti alle norme del R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, il diritto a competenze arretrate e ad altre prestazioni di natura esclusivamente patrimoniale si prescrive nel termine previsto negli artt. 2948, 2955 e 2956 c.c. -, non si applica alla domanda di risarcimento del danno da violazione del debito di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c., cui è invece applicabile l’ordinario termine decennale di prescrizione previsto dall’art. 2946 c.c.”.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.