Concorsi pubblici- limite d’età

Concorsi pubblici- limite d’età

E’ illegittimo il bando di concorso pubblico per il reclutamento di allievi agenti del corpo di polizia penitenziaria nella parte in cui impedisce che i candidati beneficino dell’aumento del limite di età in relazione al servizio militare prestato, anche nella posizione di volontario in ferma prefissata.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1038 del 2013, proposto dal Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

Signor O.B., rappresentato e difeso dall’avvocato *******, con domicilio eletto presso il suo studio *****

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 09213/2012, resa tra le parti, concernente esclusione dal concorso pubblico, per titoli ed esami, per il reclutamento di n. 375 posti di allievo agente del ruolo maschile del Corpo di polizia penitenziaria riservato ai volontari in ferma prefissata di un anno.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del signor O.B.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 dicembre 2018 il Cons. Luca Monteferrante e uditi per le parti l’avvocato Riccardo Gozzi e l’Avvocato dello Stato Francesco De Luca;

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Il Ministero della Giustizia ha interposto appello avverso la sentenza del T.a.r. per il Lazio n. 9213/2012 che ha annullato l’esclusione del sig. O.B. dal concorso pubblico, per titoli ed esami, per il reclutamento di n. 375 posti di allievo agente del ruolo maschile del Corpo di polizia penitenziaria riservato ai volontari in ferma prefissata di un anno indetto con bando del 29 novembre 2011 pubblicato sulla GU del 13.12.2011 n. 98.

L’esclusione è stata disposta in base all’art. 2, comma 1, lett. c) del bando di concorso, norma che prevede quale requisito di partecipazione un limite massimo di età di anni 28, ed esclude espressamente l’applicabilità delle disposizioni di legge relative all’aumento dei limiti di età per l’ammissione ai pubblici concorsi.

Il ricorrente, nato nel giugno del 1981, ha superato il limite di 28 anni, ma, ove fosse computato il periodo triennale di servizio militare, sarebbe legittimato a partecipare.

Il T.a.r., in accoglimento di uno specifico motivo di censura, ha ritenuto illegittima l’esclusione per violazione dell’art. 2, comma 1, punto 2, lett. d) del D.P.R. n. 487 del 1994 secondo il quale il limite di età per l’accesso ai pubblici concorsi è elevato di un periodo pari al servizio militare prestato, entro un massimo di tre anni; ciò sulla scorta della giurisprudenza che ha ritenuto tale ultima disposizione applicabile al reclutamento degli agenti di polizia penitenziaria trattandosi di personale civile e non militare (T.a.r. per il Lazio n. 1412 del 2012).

Il Ministero contesta la decisione del T.a.r. evidenziando l’esistenza di norme derogatorie di fonte secondaria – quali, in particolare, il D.M. 1 febbraio 2000, n. 50 – che autorizzano il Corpo di polizia penitenziaria a non riconoscere l’innalzamento dei limiti di età; rileva altresì l’inconferenza del precedente citato in quanto riferito ad altra fattispecie di reclutamento e comunque l’inapplicabilità dell’art. 2, comma 1, punto 2, lett. d) del D.P.R. n. 487 del 1994 in quanto riferito al servizio militare volontario, di leva e di leva prolungata ai sensi della L. 24 dicembre 1986, n. 958, essendo stato abolito il servizio di leva (compreso il servizio dei volontari in ferma annale e in ferma breve) ad opera della L. 23 agosto 2004, n. 226.

Il Sig. B.O. si è costituito nel presente giudizio per difendere la correttezza della sentenza di primo grado. Poiché tale sentenza non è stata sospesa negli effetti, egli è stato nelle more assunto ed è attualmente in servizio.

Con la memoria conclusiva il Ministero appellante ha anche eccepito la tardività dell’impugnazione stante l’omessa tempestiva impugnazione del bando nella parte in cui prevede una clausola direttamente preclusiva della partecipazione e, segnatamente, laddove esclude espressamente, all’art. 2, comma 1, lett. c), l’applicabilità delle disposizioni di legge relative all’aumento dei limiti di età per l’ammissione ai pubblici concorsi.

All’udienza pubblica del 13 dicembre 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.

In via preliminare occorre prendere le mosse dall’eccezione sollevata dal Ministero della Giustizia relativa alla omessa tempestiva impugnazione del bando contenente una clausola che impedisce la partecipazione.

L’eccezione, sebbene in astratto potenzialmente fondata (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 2081/2016 su identica fattispecie e tipologia concorsuale), nel caso di specie è tuttavia inammissibile in quanto preclusa dal giudicato formatosi su di un capo della sentenza appellata, non specificamente contestato con l’atto di appello.

Il T.a.r. sul punto ha, infatti, espressamente statuito di avere “annullato, con effetti erga omnes, l’art. 2, comma 1, lett. c) del bando per violazione di legge (sentenza n. 4037 del 2012; id. n. 4023 del 2012)” precisando “che, quindi, il ricorrente non sarebbe neppure stato tenuto ad impugnare una previsione del bando già caducata al tempo della notifica del ricorso”.

Sul punto nessuna censura è stata mossa con l’atto di appello sicchè il capo di sentenza che ha escluso l’onere di tempestiva impugnazione del bando deve ritenersi passato in giudicato.

Peraltro l’intervenuto annullamento da parte del T.a.r. del Lazio della clausola del bando che ha comportato l’esclusione dell’odierna parte appellata non fa venire meno l’interesse alla decisione trattandosi di sentenza ancora sub iudice – pendendo il giudizio di appello – la cui eventuale riforma determinerebbe la piena reviviscenza della clausola e con essa dell’effetto preclusivo della partecipazione al concorso posto a fondamento del provvedimento di esclusione.

E’ pertanto necessario scrutinare la legittimità della predetta clausola ostativa alla partecipazione.

Giova procedere preliminarmente ad una ricognizione della più recente normativa relativa alla previsione di limiti di età per la partecipazione a concorsi pubblici.

L’art. 3, comma 6, della L. n. 127 del 1997 prevede che “La partecipazione ai concorsi indetti da pubbliche amministrazioni non è soggetta a limiti di età, salvo deroghe dettate da regolamenti delle singole amministrazioni connesse alla natura del servizio o ad oggettive necessità dell’amministrazione”.

In dichiarata attuazione dell’art. 3, comma 6 della L. n. 127 del 1997 (espressamente menzionato nel preambolo del decreto ministeriale), e considerato che “le attività demandate dal Corpo di polizia penitenziaria richiedono una particolare sana e robusta costituzione fisica nonchè il possesso di requisiti psico-fisici necessariamente connessi al raggiungimento di un certo limite di età”, il Ministro della Giustizia ha adottato il D.M. n. 50 del 2000 che, per il Corpo di polizia penitenziaria, deroga alla predetta disposizione di legge e rappresenta il referente normativo invocato dal Ministero sulla cui scorta è stata inserita nel bando di concorso la clausola limitativa in contestazione.

Il decreto del Ministro della Giustizia 1 febbraio 2000, n. 50 è infatti espressamente menzionato anche nelle premesse del provvedimento di esclusione impugnato dal ricorrente, tra le fonti di disciplina della procedura concorsuale, insieme al bando di concorso.

L’art. 3 del predetto decreto ministeriale rubricato “Elevazioni del limite di età” recita, in particolare, “1. Ai concorsi pubblici per l’accesso ai ruoli del Corpo di polizia penitenziaria non si applicano elevazioni dei limiti massimi di età per la partecipazione ai concorsi non contemplate dal presente regolamento”.

Si tratta dunque di norma regolamentare derogatoria, attuativa di una fonte primaria rappresentata dall’art. 3, comma 6 della L. n. 127 del 1997, di cui la clausola del bando (art. 2, comma 1, lett. c)) rappresenta una mera applicazione, come correttamente rilevato dalla difesa erariale.

In senso contrario il ricorrente invoca il beneficio dell’innalzamento del limite di età garantito dall’art. 2, numero 2), lettera d) del D.P.R. n. 487 del 1994, come sostituito dall’art. 2, comma 2, del D.P.R. n. 693 del 1996, il quale prevede che “1. Possono accedere agli impieghi civili delle pubbliche amministrazioni i soggetti che posseggono i seguenti requisiti generali: 1)…2) età non inferiore agli anni 18 e non superiore ai 40. Per i candidati appartenenti a categorie per le quali leggi speciali prevedono deroghe, il limite massimo non può superare, anche in caso di cumulo di benefici, i 45 anni di età. Il limite di età di 40 anni è elevato: a)…b)…c)…d) di un periodo pari all’effettivo servizio prestato, comunque non superiore a tre anni, a favore dei cittadini che hanno prestato servizio militare volontario, di leva e di leva prolungata, ai sensi della L. 24 dicembre 1986, n. 958….”.

Il T.a.r., in particolare, ha accolto il ricorso facendo applicazione della norma da ultimo citata, successivamente riprodotta con analoga formulazione anche dall’art. 2049 del D.Lgs. n. 66 del 2010, recante il Codice dell’ordinamento militare; tale disposizione rubricata “Elevazione del limite di età per la partecipazione ai concorsi pubblici” prevede che “1. Per la partecipazione ai pubblici concorsi il limite massimo di età richiesto è elevato di un periodo pari all’effettivo servizio prestato, comunque non superiore a tre anni, per i cittadini che hanno prestato servizio militare”.

Ora, già prima dell’entrata in vigore del codice dell’ordinamento militare, l’art. 3 del D.M. n. 50 del 2000 sebbene dotato di copertura legislativa – essendo attuativo di norma di legge primaria (art. 3, comma 6 della L. n. 127 del 1997) – non poteva derogare alla lettera d) del numero 2), art. 2, del D.P.R. n. 487 del 1994 – che riconosce, in via generalizzata, l’innalzamento dei limiti di età per un periodo pari al servizio militare prestato nei limiti del triennio – poiché tale norma è meramente riproduttiva dell’art. 77, comma 6 del D.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237 come integralmente sostituito dall’art. 22 della L. 24 dicembre 1986, n. 958 rubricato “Sospensione del rapporto di lavoro – Norme particolari per i pubblici concorsi”.

Trattandosi di una norma di legge avente finalità premiale, la fonte regolamentare, per i motivi che saranno esplicitati nel prosieguo, non poteva derogarvi.

Tale legge è stata poi abrogata per intero dall’art. 2268, comma 1, del D.Lgs. n. 66 del 2010 che ha riprodotto il contenuto dell’art. 22 della L. 24 dicembre 1986, n. 958 nella Sezione VIII, Capo V, Titolo II del Libro VIII dove oggi si colloca anche l’art. 2049.

Nel caso di specie il bando è stato adottato con provvedimento del 29 novembre 2011 ed è successivo alla entrata in vigore del D.Lgs. n. 66 del 2010; pertanto la problematica della successione delle norme nel tempo non si pone tanto tra l’art. 3, comma 6 della L. n. 127 del 1997 – e il relativo decreto ministeriale attuativo (art. 3 del D.M. n. 50 del 2000) – e l’art. 2, numero 2), lettera d) del D.P.R. n. 487 del 1994, di cui il T.a.r. ha fatto applicazione, quanto tra la prima fonte di disciplina e l’art. 2049 del D.Lgs. n. 66 del 2010, norma quest’ultima che ha confermato, in parte qua, il disposto dell’art. 22 della L. 24 dicembre 1986, n. 958 in precedenza già confluito nell’art. 2, numero 2), lettera d) del D.P.R. n. 487 del 1994.

Da quanto precede emerge l’esistenza di un’antinomia tra una norma regolamentare che esclude espressamente per i concorsi pubblici per l’accesso ai ruoli del Corpo di polizia penitenziaria le elevazioni dei limiti massimi di età per la partecipazione ai concorsi non contemplate dal D.M. n. 50 del 2000 e l’art. 2049 D.Lgs. n. 66 del 2010 cit. che prevede espressamente la elevazione del limite di età per la partecipazione ai concorsi pubblici “di un periodo pari all’effettivo servizio prestato, comunque non superiore a tre anni, per i cittadini che hanno prestato servizio militare”.

La predetta antinomia circoscrive la questione controversa oggetto del presente giudizio.

Al riguardo il collegio è dell’avviso che l’art. 2049 D.Lgs. n. 66 del 2010 cit. (e già in precedenza l’art. 2, numero 2), lettera d) del D.P.R. n. 487 del 1994 in quanto dotato della copertura legislativa dell’art. 22 della L. n. 958 del 1986) prevalga sull’art. 3 del D.M. 1 febbraio 2000, n. 50 che pertanto, sebbene non oggetto di specifica impugnazione, deve essere disapplicato (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 8 febbraio 2016, n. 475; Cons. Stato, Sez. VI, 14 luglio 2014 n. 3623) e va dichiarata l’illegittimità dell’art. 2, comma 1, lettera c) del bando, con conseguente annullamento in parte qua, nella parte in cui esclude l’elevazione del limite di età per la partecipazione al concorso, per contrasto con la norma primaria di cui all’art. 2049 D.Lgs. n. 66 del 2010 cit. che, per il principio di gerarchia delle fonti, prevale sulla fonte regolamentare.

L’art. 3, comma 6, della L. n. 127 del 1997 nel prevedere che “La partecipazione ai concorsi indetti da pubbliche amministrazioni non è soggetta a limiti di età, salvo deroghe dettate da regolamenti delle singole amministrazioni connesse alla natura del servizio o ad oggettive necessità dell’amministrazione” autorizza, come si è visto, le singole amministrazioni ad introdurre limiti di età per la partecipazione ai concorsi.

Tale norma tuttavia non autorizza anche deroghe a norme di legge che prevedono fattispecie in cui è previsto l’innalzamento del predetto limite, laddove introdotto in via regolamentare.

La L. n. 127 del 1997 ha infatti operato un bilanciamento tra opposti valori e cioè tra il principio di pubblicità e di massima partecipazione ai concorsi nella pubblica amministrazione – incompatibile con la previsione di limiti di età – e le esigenze organizzative di efficacia e di buon andamento dell’amministrazione, connesse in particolare alla natura del servizio o ad altre oggettive necessità che possono richiedere particolari requisiti di idoneità fisica legati anche all’età dei candidati.

Al contempo le norme collocate nella sezione VIII, Capo VI, Titolo II del Libro VIII del D.Lgs. n. 66 del 2010 – ma già, come si è visto, l’art. 22 della L. n. 958 del 1986 – hanno natura premiale per coloro che abbiano svolto a vario titolo il servizio militare e mirano ad incentivare la prestazione di un periodo di servizio nelle forze armate attraverso il riconoscimento di un corredo di diritti disciplinati dagli artt. 2048 – 2052 di cui gli interessati possono beneficiare nelle modalità di accesso e nel successivo trattamento economico e previdenziale nel pubblico impiego.

Tra questi benefici v’è, per l’appunto, quello previsto dall’art. 2049 concernente la elevazione del limite di età per la partecipazione ai concorsi pubblici.

Sebbene i regolamenti attuativi dell’art. 3, comma 6 della L. n. 127 del 1997 siano autorizzati ad introdurre limiti di età per la partecipazione ai concorsi in deroga alla regola generale che non li prevede, agli stessi non è consentito derogare ad altre norme di legge che prevedono disposizioni di favore quale quella sulla elevazione dei limiti di età, ove previsti, dal momento che tali norme realizzano un distinto bilanciamento di valori costituzionali che deve parimenti essere preservato.

L’art. 3 del predetto decreto ministeriale rubricato “Elevazioni del limite di età” nella parte in cui prevede che “1. Ai concorsi pubblici per l’accesso ai ruoli del Corpo di polizia penitenziaria non si applicano elevazioni dei limiti massimi di età per la partecipazione ai concorsi non contemplate dal presente regolamento” si pone invece in contrasto con l’art. 2049 del D.Lgs. n. 66 del 2010 e con il bilanciamento di valori implicito nella norma e deve pertanto essere disapplicato dovendo prevalere, per il principio di gerarchia, la fonte sovraordinata.

Ed infatti una volta eliminato il limite di età per la partecipazione ai concorsi pubblici ad opera dell’art. 3 comma 6 della L. n. 127 del 1997(La partecipazione ai concorsi indetti da pubbliche amministrazioni non è soggetta a limiti di età), la previsione di cui all’art. 2049 (Per la partecipazione ai pubblici concorsi il limite massimo di età richiesto è elevato di un periodo pari all’effettivo servizio prestato, comunque non superiore a tre anni, per i cittadini che hanno prestato servizio militare) sarebbe inutiliter data se non fosse riferita proprio alle ipotesi derogatorie “dettate da regolamenti delle singole amministrazioni connesse alla natura del servizio o ad oggettive necessità dell’amministrazione” per le quali persiste la possibilità di introdurre limiti di età ai sensi del menzionato art. 3, comma 6.

Il criterio della interpretazione utile indirizza verso una esegesi che, a fronte dei limiti di età legittimamente previsti dalla singole amministrazioni in ragione della natura del servizio e delle oggettive necessità dell’amministrazione (nella specie art. 1 del D.M. n. 50 del 2000), comunque ammetta l’operatività della regola di cui all’art. 2049 salvaguardandone la finalità premiale, propria della norma (e di tutte quelle della sezione VIII del capo VI), a beneficio di quanti hanno prestato a vario titolo il servizio militare, in tal modo contemperando i doveri di solidarietà civile e di servizio alla Patria con il diritto al lavoro, evitando, in particolare, che il periodo di servizio presso le forze armate possa comportare un pregiudizio nell’accesso alle carriere lavorative alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni o comunque incentivando la prestazione del servizio militare nelle varie forme previste attraverso la previsioni di specifici benefici.

L’Avvocatura replica che l’art. 2049 del D.Lgs. n. 66 del 2010 non sarebbe applicabile in quanto inserito nel “Libro Ottavo Servizio militare e Servizio degli obiettori di coscienza in tempo di guerra o di grave crisi internazionale Titolo II Disciplina della leva in caso di guerra o di grave crisi internazionale” sicchè, non ricorrendo le condizioni ivi previste (tempo di guerra o grave crisi internazionale) per l’operatività della leva obbligatoria, non potrebbe applicarsi la relativa disciplina, tra cui l’art. 2049.

L’eccezione è infondata.

Occorre premettere infatti che ai sensi dell’art. 2025 “La ferma di leva è quella parte dell’obbligo del servizio militare che si compie sotto le armi per chiamata d’autorità, allo scopo di acquisire la necessaria istruzione militare”. Ai sensi dell’art. 1929 “Le chiamate per lo svolgimento del servizio obbligatorio di leva sono sospese a decorrere dal 1 gennaio 2005”; prosegue la norma nel senso che il servizio di leva è ripristinato in caso di dichiarazione dello stato di guerra o di grave crisi internazionale.

In presenza di tali presupposti il Libro Ottavo disciplina la ferma di leva ed in questo contesto sistematico si colloca l’art. 2049 la cui operatività secondo l’Avvocatura dello Stato sarebbe condizionata alla sussistenza delle condizioni in presenza delle quali il servizio di leva può essere ripristinato (stato di guerra o grave crisi internazionale).

Il Collegio è dell’avviso che il beneficio concesso dall’art. 2049 prescinda da tali condizioni in quanto:

a) dal punto di vista della interpretazione letterale la norma indica come beneficiari dell’innalzamento del limite di età “i cittadini che hanno prestato servizio militare” tout cout quindi anche i volontari e non solo i cittadini che hanno prestato il servizio di leva per chiamata d’autorità cui si riferisce invece il Libro VIII nelle circostanze eccezionali ivi contemplate (stato di guerra o grave crisi internazionale); il riferimento implicito ma inequivoco ad una categoria (quella dei volontari) non contemplata dalla disciplina del Libro VIII vale a conferire alla norma una portata generale che trascende la collocazione sistematica;

b) dal punto di vista logico appare del tutto incongruo limitare un beneficio ad una ipotesi del tutto eccezionale qual è il ripristino della leva obbligatoria in caso di dichiarazione dello stato di guerra o di grave crisi internazionale che peraltro rende del tutto aleatoria la possibilità di fruire concretamente del beneficio. Se così fosse, tutti i benefici di cui agli artt. da 245 a 252 (Sezione VII Formazione e Agevolazioni strumentali al passaggio dalla vita militare alla vita civile – Sezione VIII Diritti inerenti al lavoro civile) dovrebbero restare condizionati ai medesimi presupposti eccezionali;

c) dal punto di vista della interpretazione storica la sezione VIII riproduce sostanzialmente il novero di diritti già riconosciuti con portata generale dall’art. 22 della L. 24 dicembre 1986, n. 958, contestualmente abrogata dalle disposizioni transitorie del codice dell’ordinamento militare e non sussiste alcuna ragione per cui una previsione avente storicamente portata generale, a beneficio di tutti coloro che prestano servizio militare, in seguito alla codificazione della materia, debba essere confinata in una spazio applicativo a tal punto angusto da comportarne una abrogazione mascherata;

d) il fatto che la norma in questione sia collocata nel libro VIII del D.Lgs. n. 66 del 2010 si spiega con la considerazione che, a regime, il servizio di leva è previsto solo nelle ipotesi eccezionali ivi contemplate, sicchè la disciplina degli speciali benefici ricollegati alla prestazione del servizio di leva ha trovato collocazione in tale parte del codice; ciò tuttavia non implica che i medesimi benefici debbano essere negati – come invece sostiene l’Avvocatura dello Stato – a coloro che hanno prestato il servizio di leva prima della sua sospensione ad opera dell’art. 1 della L. 23 agosto 2004, n. 226, pena una inammissibile ed irragionevole disparità di trattamento; lo stesso vale per coloro che hanno prestato servizio come volontari di truppa prima dell’entrata in vigore della L. 23 agosto 2004, n. 226 (che all’art. 3 ha introdotto la nuova figura dei volontari in ferma prefissata annuale e quadriennale) il cui servizio deve parimenti essere computato in quanto “servizio militare” ai sensi e per gli effetti dell’art. 2049;

e) che il beneficio dell’innalzamento dei limiti di età – come tutti i diritti inerenti al lavoro civile previsti dalla sezione VIII – si applichi a tutti “i cittadini che hanno prestato servizio militare”, a qualunque titolo, a prescindere dall’esistenza dello stato di guerra o di grave crisi internazionale, è confermato dal tenore letterale dell’art. 2052 rubricato “Riconoscimento del servizio militare per l’inquadramento economico e il trattamento previdenziale nel pubblico impiego” secondo cui “1. Il periodo di servizio militare è valido a tutti gli effetti per l’inquadramento economico e per la determinazione della anzianità lavorativa ai fini del trattamento previdenziale del settore pubblico”.

Seguendo la tesi dell’Avvocatura dello Stato che fa leva sulla interpretazione sistematica, la norma, avente la medesima collocazione dell’art. 2049, dovrebbe trovare applicazione solo ai periodi di servizio militare prestati in stato di guerra o di grave crisi internazionale.

Senonchè il comma 2 dell’articolo precisa al riguardo che “Il servizio militare valutabile ai sensi del comma 1 è esclusivamente quello in corso alla data di entrata in vigore della L. 24 dicembre 1986, n. 958, nonchè quello prestato successivamente” confermando, anche dal punto di vista letterale, che i benefici previsti dalla sezione VIII, Capo VI, Titolo II del Libro VIII, sono riconosciuti ad ogni tipologia di servizio militare prestato, anche in tempo di pace, e quindi anche al servizio di leva prima della sospensione del servizio obbligatorio di leva nonché al servizio prestato dai militari di truppa (volontari in ferma annuale e volontari in ferma breve) prima della riforma del servizio volontario introdotta dall’art. 3 della L. 23 agosto 2004, n. 226 e al servizio prestato dai volontari in ferma prefissata annuale e quadriennale ai sensi degli artt. 3 e ss. della L. 23 agosto 2004, n. 226;

f) l’art. 699 del D.Lgs. n. 66 del 2010 rubricato “Incentivi per il reclutamento volontario” prevede espressamente che “1. Le disposizioni che prevedono l’attribuzione di benefici non economici conseguenti all’avere effettuato il servizio militare di leva si applicano, in quanto compatibili, senza nuovi o maggiori oneri a carico dello Stato, anche con riferimento alla effettuazione del servizio militare volontario in ferma prefissata di un anno”.

Tra questi benefici (elencati alle sezioni VII e VIII del titolo II del libro VIII) v’è, per l’appunto, quello della elevazione del limite di età per la partecipazione ai concorsi pubblici ex art. 2049 che pertanto trova applicazione, andando ad integrare la disciplina derogatoria sui limiti di età di cui all’art. 3 del D.M. n. 50 del 2000 prevalendo sulle disposizioni contrarie.

Anche in questo caso l’operatività dell’art. 2049 non è condizionata alla deliberazione dello stato di guerra o alla sussistenza di una grave crisi internazionale secondo la disciplina del Libro VIII.

Ora, se per il periodo di servizio militare volontario in ferma prefissata di un anno è previsto il beneficio della elevazione del limite di età per la partecipazione ai concorsi pubblici ai sensi dell’art. 2049 – stante il richiamo dell’art. 699 – non v’è motivo per ritenere non applicabile la medesima norma anche per il servizio di leva prestato prima della sospensione del servizio obbligatorio di leva, considerato che l’art. 2049 riconoscendo il beneficio, con formula onnicomprensiva, ai “cittadini che hanno prestato servizio militare” si applica a tutti i cittadini che hanno comunque prestato non solo il servizio militare volontario, ma anche quello di leva e di leva prolungata, ai sensi della L. 24 dicembre 1986 prima della sospensione della leva obbligatoria, come accaduto per l’odierno appellato;

g) argomenti a favore della interpretazione letterale e quindi della piena e diretta applicabilità dell’art. 2049 sono stati anticipati da questa Sezione con sentenza n. 3738/2016 la quale ha affermato che “è convincente e condivisibile la tesi dell’Amministrazione, fatta propria anche dal T.A.R., circa l’inapplicabilità alla vicenda dell’art. 2049 cod. ord. mil., in tema di innalzamento dei limiti di età, per trattarsi di disposizione esclusivamente riferita all’accesso agli impieghi civili (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 novembre 2015, n. 5157)”, considerato che il Corpo di Polizia penitenziaria non ha carattere militare, ma civile.

Accertata la applicabilità al caso di specie dell’art. 2049 del D.Lgs. n. 66 del 2010, deve pertanto essere disapplicato l’art. 3 del decreto del Ministro della Giustizia 1 febbraio 2000, n. 50 nella parte in cui prevede che “1. Ai concorsi pubblici per l’accesso ai ruoli del Corpo di polizia penitenziaria non si applicano elevazioni dei limiti massimi di eta’ per la partecipazione ai concorsi non contemplate dal presente regolamento” e va confermato l’annullamento disposto dal T.a.r. dell’art. 2, comma 1, lett. c) del bando impugnato, nella parte in cui applica tale previsione regolamentare, in contrasto con la fonte primaria di cui all’art. 2049 D.Lgs. n. 66 del 2010.

Alla luce delle motivazioni che precedono l’appello deve pertanto essere respinto mentre la sentenza di primo grado deve essere confermata, sebbene con diversa motivazione.

La novità e la complessità della questione induce il collegio a ritenere sussistenti eccezionali motivi per disporre la compensazione integrale delle spese del grado.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e compensa le spese di lite tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Conclusione
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 dicembre 2018 con l’intervento dei magistrati:

Paolo Troiano, Presidente

Leonardo Spagnoletti, Consigliere

Luca Lamberti, Consigliere

Nicola D’Angelo, Consigliere

Luca Monteferrante, Consigliere, Estensore

2022-06-19T19:44:34+02:00
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