Ricorso Tempo di vestizione risarcimento danni

Ricorso Tempo di vestizione risarcimento danni

Secondo la norma del R.D.L. 5 marzo 1923, n. 692, art. 3 è considerato lavoro effettivo ogni lavoro che richieda un’occupazione assidua e continuativa.
A detta norma va peraltro coordinata la disciplina introdotta dal D.L.G.S. 8 aprile 2003, n. 66 (di attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE), il quale all’art. 1, comma 2, definisce “orario di lavoro” “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni“.
In base a ciò, progressivamente sia nelle sentenze di merito che in quelle di legittimità, è stato riconosciuto il principio secondo cui tale disposizione non preclude che il tempo impiegato per indossare la divisa sia da considerarsi lavoro effettivo, e debba essere pertanto retribuito, ove tale operazione sia diretta dal datore di lavoro, il quale ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, ovvero si tratti di operazioni di carattere strettamente necessario ed obbligatorio per lo svolgimento dell’attività lavorativa.
E’ dunque ormai unanimemente ritenuta la necessità di retribuire con una retribuzione aggiuntiva il tempo impiegato per indossare la divisa ad inizio del turno e per svestirsi al termine della prestazione lavorativa, per tutti quei lavoratori che siano obbligati per le proprie funzioni, incarichi o mansioni ad indossare una divisa.
Va infatti considerato lavoro effettivo il tempo utilizzato per mettersi la divisa, di talché lo stesso deve essere retribuito quando le fasi della vestizione e della svestizione siano disciplinate dal datore di lavoro, che ne regolamenta sia il luogo che il tempo di esecuzione, oppure quando si tratti di operazioni che siano necessarie e obbligatorie per l’espletamento della propria attività lavorativa.
In ordine al quantum richiedibile a titolo di retribuzione aggiuntiva per il tempo tuta per il servizio si consideri che il tempo riconosciuto idoneo viene di solito quantificato in 15 minuti per la vestizione e in 15 minuti per la svestizione, ovvero 30 minuti al giorno.
Sulla stessa lunghezza d’onda del tribunale, la Cassazione ha confermato il principio e respinto il ricorso della Asl, anche in continuità con altre precedenti pronunce (Cass. n. 3901/2019; Cass. n. 12935/2018; Cass. n. 27799/2017) in cui è stato ribadito che le attività di vestizione/svestizione sono comportamenti integrativi della obbligazione principale e funzionali al corretto espletamento dei doveri di diligenza preparatoria.

Si tratta di attività, secondo la Cassazione, che non sono svolte nell’interesse dell’Azienda, ma dell’igiene pubblica e come tali devono ritenersi autorizzate da parte dell’Azienda stessa.

Inoltre, per il lavoro all’interno delle strutture sanitarie, il tempo di vestizione e svestizione dà diritto alla retribuzione, essendo l’obbligo imposto dalle esigenze di sicurezza e igiene che riguardano sia la gestione del servizio pubblico sia la stessa incolumità del personale addetto.

“Il più recente orientamento – si legge nella sentenza – rappresenta uno sviluppo del precedente indirizzo (del tutto in linea con il principio) ed una integrazione della relativa ricostruzione, ponendo l’accento sulla funzione assegnata all’abbigliamento, nel senso che l’eterodirezione può derivare dall’esplicita disciplina d’impresa ma anche risultare implicitamente dalla natura degli indumenti – quando gli stessi siano diversi da quelli utilizzati o utilizzabili secondo un criterio di normalità sociale dell’abbigliamento – o dalla specifica funzione che devono assolvere e così dalle superiori esigenze di sicurezza ed igiene riguardanti sia la gestione del servizio pubblico sia la stessa incolumità del personale addetto”.

La sentenza, nel dare ragione agli infermieri, riconosce che “pur con definizioni non sempre coincidenti, essendosi fatto riferimento, in alcuni casi al concetto di ‘eterodirezione implicita’, in altri all’obbligo imposto dalle superiori esigenze di sicurezza ed igiene, discendente dall’interesse all’igiene pubblica, in altri ancora all’esistenza di ‘autorizzazione implicita’, l’orientamento della giurisprudenza di legittimità è, dunque, saldamente ancorato al riconoscimento dell’attività di vestizione/svestizione degli infermieri come rientrante nell’orario di lavoro e da retribuire autonomamente, qualora sia stata effettuata prima dell’inizio e dopo la fine del turno”.

Soluzione questa in linea anche con la giurisprudenza comunitaria in tema di orario di lavoro (direttiva n. 2003/88/CE).

Secondo la spiegazione che la Cassazione dà nella sentenza “ciò che rileva … è unicamente che le attività preparatorie di cui trattasi siano state svolte all’interno dell’orario di lavoro – e come tali retribuite – o piuttosto, come accertato dalla sentenza impugnata, in aggiunta e al di fuori dell’orario del turno, dovendo in tal caso essere autonomamente retribuite.
Quanto all’effettuazione delle indicate prestazioni al di fuori del normale orario di lavoro (secondo la sentenza impugnata ‘prima e dopo i relativi turni di lavoro’) la censura della ricorrente scivola, in modo inammissibile, sul piano dell’appezzamento del merito”.
Quindi in un arco lavorativo di 5 anni, considerando una retribuzione oraria lorda di circa € 13,00, si ottiene l’importo di € 9.750,00, richiedibile da ogni lavoratore che per servizio sia obbligato ad indossare una divisa.

Per info contattare lo studio Sposito al seguente numero di cellulare : 3331039790

2021-04-14T15:53:05+02:00
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