REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2513 del 2017, proposto da
-OMISSIS-, , con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico legale in Napoli, alla via Armando Diaz n. 11;
per l’annullamento,
previa adozione di idonee misure cautelari,
del provvedimento dello Stato Maggiore dell’Esercito – Ufficio Graduati e Militari di truppa, prot. MDE24094 REG 2012 n. 0025413 del 30 marzo 2017, recante rigetto dell’istanza di trasferimento ai sensi dell’articolo 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992; nonché
per l’accertamento del diritto del ricorrente di ottenere l’assegnazione temporanea nella sede richiesta, ai sensi dell’articolo 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992; nonché
per il riconoscimento del danno esistenziale;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 marzo 2021 la dott.ssa Valeria Ianniello, mediante collegamento da remoto in videoconferenza, secondo quanto disposto dall’articolo 25 del decreto-legge n. 137 del 2020, convertito con legge n. 176 del 2020 e successivamente modificato dall’articolo 1, comma 17, del decreto-legge n. 183 del 2020, convertito con legge n. 21 del 2021;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue;
FATTO e DIRITTO
Espone il ricorrente, militare effettivo presso il Reparto Supporto Generale del Comando Forze Operative Sud con sede a Napoli:
– che il proprio cognato (affine di 2° grado) è affetto da una grave forma di disabilità psicomotoria di origine neonatale, con grave deficit deambulatorio ed episodi di crisi epilettiche (come attestato dalla certificazione medica prodotta);
– che il nucleo familiare del disabile è composto, oltre a lui, dal padre (unico titolare di reddito) e dalla madre (impiegata per 6 giorni al mese con contratto di solidarietà), la quale tuttavia soffre di patologie che non le rendono possibile l’accudimento fisico del figlio disabile;
– che la sorella del disabile, moglie del ricorrente, vive in un’altra abitazione con i due figli;
– di avere presentato, viste le condizioni familiari in cui versa il disabile e in ragione dell’impossibilità dei familiari più prossimi di occuparsi di lui, un’istanza di trasferimento ai sensi dell’articolo 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992, in data 26 febbraio 2016;
– che con l’impugnato provvedimento del vice Capo Dipartimento o, la predetta istanza è stata respinta, con la seguente motivazione:
1. “la presenza di altri familiari (padre, madre e sorella), non oggettivamente impossibilitati a fornire la dovuta assistenza, dei quali alcuni residenti presso la stessa abitazione del disabile, sebbene indisponibili per ragioni personali e lavorative”;
2. “la sussistenza degli obblighi di assistenza morale e materiale, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 433, 441 e 443 del c.c., ricade sul nucleo familiare proporzionalmente al grado di parentela”.
Avverso tale provvedimento di rigetto, il ricorrente muove le seguenti censure: difetto d’istruttoria e di motivazione; violazione dell’articolo 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992, e degli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione; genericità, contraddittorietà e irrazionalità manifeste.
Il ricorso è fondato, sotto il profilo di seguito illustrato.
L’invocato articolo 33, comma 5, della legge n. 104 del 192 – pacificamente applicabile anche al personale militare – prevede che “il lavoratore di cui al comma 3 [dipendente pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado (ovvero entro il terzo grado, al ricorrere di determinate condizioni)] ha diritto a scegliere ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede”.
Al riguardo, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che:
– «tale modus operandi non rappresenta un obbligo “incondizionato e assoluto” per l’Amministrazione, nel senso ipotizzabile se la situazione tutelata avesse natura di diritto soggettivo; tuttavia, è doveroso per l’Amministrazione apprezzare discrezionalmente la condizione del dipendente titolare dell’interesse legittimo di cui all’art. 33, comma 5, l. n. 104/1992 …»;
– «il diritto di scelta della sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere si atteggia indubbiamente quale “interesse legittimo”, in quanto l’inciso “ove possibile” attribuisce al datore di lavoro la discrezionalità di verificare la compatibilità dell’interesse del dipendente ad assicurare continuità assistenziale al familiare con le esigenze organizzative ed economiche dello stesso datore di lavoro, che segnatamente nel caso di rapporti di lavoro pubblico si configurano come interessi pubblici»;
– «secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, gli unici parametri entro i quali l’Amministrazione deve valutare se concedere o meno il beneficio in questione sono le proprie esigenze organizzative ed operative e l’effettiva “necessità” del beneficio per il dipendente, al fine di impedire un suo uso strumentale, a maggior ragione a seguito della eliminazione dei requisiti della c.d. “continuità” e dell’“esclusività” nell’assistenza al familiare portatore di grave handicap, disposta dall’art. 24, l. n. 183 del 2010, che ha modificato l’art. 33 cit. (Consiglio di Stato sez. IV, 14/07/2020, n. 4549; sez. IV, 2 aprile 2020, n. 2226)»;
– «il beneficio di cui gode il dipendente è disposto, in ultima analisi, a vantaggio del disabile e non, invece, nell’interesse esclusivo dell’Amministrazione ovvero del richiedente, avendo lo stesso “natura strumentale ed essendo intimamente connesso con la persona dell’assistito” (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 11 gennaio 2019, n. 274, e 27 settembre 2018, n. 5550)»;
– «pertanto, sono stati costantemente ritenuti illegittimi i dinieghi dell’Amministrazione con motivazione generica e senza precisa indicazione delle esigenze organizzative pubbliche ostative all’accoglimento dell’istanza del dipendente (Consiglio di Stato IV sez. n. 4549/2020 cit.; sez. IV, n.2226/2020 cit.)»;
– «l’art. 33, comma 5, della L. 104/1992 cit. è norma che attribuisce un vantaggio in funzione solidaristica ed è espressione dei principi di eguaglianza sostanziale e di solidarietà sociale di cui agli artt. 3, comma 2, e 2 Cost.»;
– «la Corte Costituzionale ha chiaramente individuato il fine della legge n. 104 del 1992 nel “superare, o contribuire a far superare, i molteplici ostacoli che il disabile incontra quotidianamente nelle attività sociali e lavorative, e nell’esercizio di diritti costituzionalmente protetti” (Corte Cost. n. 406 del 1992)» (Consiglio di Stato, sezione III, sentenza n. 1331 del 2021).
Dall’interpretazione fornita dalla giurisprudenza, e consolidata nel tempo, in ordine al ridetto articolo 33, comma 5, della legge n. 102 del 1994, si evince la sussistenza dell’allegato vizio di difetto d’istruttoria e motivazione del provvedimento in questa sede impugnato.
Deve, infatti, rilevarsi che l’Amministrazione ha posto a fondamento del proprio rifiuto:
1. la presenza di altri familiari (padre, madre e sorella): come si è detto, tuttavia, né la continuità né l’esclusività nell’assistenza al familiare portatore di grave handicap costituiscono più condizione per l’accoglimento della domanda di trasferimento, dopo che l’articolo 24 della legge n. 183 del 2010 ha modificato l’articolo 33 della legge n. 104 del 1992;
2. il fatto che gli altri familiari non sarebbero “oggettivamente impossibilitati” a fornire la dovuta assistenza; tuttavia, nello tesso provvedimento si fa contraddittoriamente riferimento a “ragioni personali e lavorative” che di fatto impediscono ad essi di occuparsi del congiunto; ebbene, non si comprende come tali ragioni – consistenti: per il padre (titolare di un negozio di parrucchiere presso il quale è l’unico lavoratore), nel costante e prolungato impegno lavorativo giornaliero; per la madre, nell’impossibilità fisica di sorreggere il figlio, anche a causa delle proprie condizioni di salute; per la sorella (moglie del ricorrente) nella necessità di accudire i due figli – non diano luogo, in concreto, a una impossibilità oggettiva di assistere il familiare portatore di disabilità, non potendosi ravvisare in esse una mera indisponibilità soggettiva;
3. il riferimento agli articoli 433, 441 e 443 del codice civile, i quali tuttavia pertengono alla fattispecie affatto diversa dell’obbligo di prestare alimenti (il quale prescinde da considerazioni in ordine alla disponibilità di tempo e alla capacità fisica, proprie invece dell’assistenza e dell’accudimento).
Infine, dal provvedimento impugnato non emerge nessun riferimento alle concrete esigenze organizzative e operative dell’Amministrazione, le quali dovrebbero costituire – in uno alle necessità del disabile – parametro di delibazione della richiesta di trasferimento. Al riguardo, la giurisprudenza, citata anche dalla parte ricorrente, ha chiarito che “l’Amministrazione può … opporsi al beneficio solo in presenza di esigenze di servizio incompatibili con l’assegnazione del dipendente alla sede invocata (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 10 giugno 2013 n. 3168). Poiché la richiesta di assegnazione/trasferimento si presenta suscettibile di accoglimento solo “ove possibile”, difetta un diritto del dipendente alla concessione dell’agevolazione e compete piuttosto all’Amministrazione accertare se, pur in presenza di posti vacanti in organico, si oppongano all’assegnazione alla sede richiesta valutazioni legate ad esigenze di organizzazione del servizio ritenute inderogabili e pertanto prevalenti sulla garanzia dell’attività assistenziale cui è finalizzato il beneficio; di una simile verifica, in particolare, l’Amministrazione è tenuta a dare puntuale motivazione, con adeguata illustrazione delle circostanze che dovessero impedire l’assegnazione/trasferimento oggetto di domanda, anche per evitare un sostanziale svuotamento dell’istituto delle agevolazioni concesse ai familiari della persona disabile, sì da dover essere la decisione calibrata sui dati di fatto emergenti dall’istruttoria e fondarsi su specifiche esigenze organizzative interne. In definitiva, il trasferimento ex art. 33, comma 5, della L. n. 104 del 1992 può essere negato solo se ne conseguano effettive e ben individuate criticità per l’Amministrazione, la quale ha l’onere di indicarle in maniera compiuta per rendere percepibile di quali reali pregiudizi risentirebbe la sua azione, mentre non può limitarsi ad invocare generiche esigenze di corretta organizzazione e buon andamento degli uffici” (T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sezione I, sentenza n. 775 del 2016).
La rilevanza costituzionale degli interessi sottesi alle previsioni contenute nell’articolo 33 della legge n. 104 del 1992 esige che l’Amministrazione produca una motivazione congrua, quanto ai profili esaminati, e stringente, quanto alle argomentazioni svolte, ogni qualvolta ritenga recessivo, nel necessario bilanciamento degli interessi, il bisogno assistenziale che sorregge la domanda di trasferimento rispetto alle proprie esigenze organizzative e operative.
Sotto tali profili (assorbenti rispetto alle censure di ordine procedimentale), il ricorso deve pertanto essere accolto, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.
Non può, invece, trovare accoglimento la domanda di accertamento del diritto del ricorrente di ottenere l’assegnazione temporanea, ai sensi dell’articolo 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992 nella zona richiesta.
Proprio in considerazione dei profili di discrezionalità – in ordine, da un lato, alle necessità del disabile e, dall’altro, alle esigenze organizzative dell’ufficio – che connotano la decisione di concedere o negare il trasferimento, il giudice non può sostituire la propria valutazione a quella che deve essere svolta dall’Amministrazione di appartenenza del richiedente.
Non può, infine, trovare accoglimento nemmeno la domanda di risarcimento del “danno esistenziale”, asseritamente dipendente sia dal ritardo nell’adozione del provvedimento impugnato sia dai vizi che lo invalidano. Ciò è, infatti, impedito sia dalla mancanza di prova del pregiudizio che si assume patito, sia, soprattutto, dal fatto che – come già detto – la richiamata normativa è stata posta esclusivamente a tutela dell’interesse del disabile, il quale è il solo che potrebbe dolersi del pregiudizio eventualmente subito a seguito dell’illegittimo diniego o del ritardo nel disporre il trasferimento del familiare che ne ha fatto richiesta.
L’esito di parziale accoglimento del ricorso giustifica la compensazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto (n. 2513/2017 r.g.), lo accoglie in parte, nei sensi di cui in motivazione, e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Michelangelo Maria Liguori, Presidente
Guglielmo Passarelli Di Napoli, Consigliere
Valeria Ianniello, Primo Referendario, Estensore